Le notizie che ci appaiono sul Google Feed? La “colpa” è delle nostre scelte precedenti

Uno studio condotto da scienziati della Rutgers School of Communication and Information, dell’Università di Stanford e della Northeastern University, e pubblicato sulla rivista Nature, ha rivelato che i principali fattori che determinano l’esposizione a notizie inaffidabili fornite dal Google Feed dipendono principalmente… dagli utenti. O meglio,  selezioni precedenti fatte dagli utenti, piuttosto che dall’attenzione dell’algoritmo o dall’ideologia politica dell’utente. Lo riporta l’Agi.

Algoritmi però…

Nonostante il ruolo cruciale degli algoritmi nella selezione delle notizie proposte agli utenti, poche ricerche si sono concentrate sull’analisi dei metodi di assortimento del Feed. Il team di ricerca, guidato da Katherine Ognyanova, ha confrontato l’esposizione, ovvero l’insieme dei link presenti nei risultati di ricerca, i follow, cioè i collegamenti alle pagine che le persone scelgono di visitare, e il coinvolgimento, che rappresenta l’insieme dei siti visitati da un utente durante la navigazione.
I ricercatori hanno affrontato la preoccupazione di lunga data secondo cui gli algoritmi digitali apprendano dalle preferenze espresse in base alle cronologie e dalle informazioni superficiali per soddisfare gli atteggiamenti e i pregiudizi degli utenti stessi. Secondo gli esperti, i risultati del Feed sembrano differire di poco in base alle ideologie politiche di base, ma si distanziano quando le persone iniziano a visitare determinate pagine web.

Possibili risultati polarizzanti

Questo studio evidenzia che, a volte, gli algoritmi di Google possono generare risultati polarizzanti e potenzialmente pericolosi, anche se questi emergono in modo uniforme tra utenti con opinioni politiche diverse. Il gruppo di ricerca ha raccolto informazioni in due fasi, valutando i risultati di un sondaggio e utilizzando dati empirici provenienti da un’estensione del browser progettata per misurare esposizione e coinvolgimento rispetto a determinati contenuti online durante le elezioni statunitensi del 2018 e del 2020.

Test con estensione del browser per Chrome e Firefox

Nel contesto dell’indagine, 1.021 partecipanti hanno installato un’estensione del browser per Chrome e Firefox. Il software ha registrato gli URL dei risultati di ricerca di Google, la cronologia e una serie di dati relativi ai contenuti visionati dagli utenti.  Il sondaggio mirava a distinguere l’orientamento politico dei partecipanti. I risultati hanno mostrato che l’identificazione e l’ideologia politiche non erano correlate all’esposizione e alla qualità di notizie a cui gli utenti erano esposti.

Sanità digitale: in Italia vale 1,8 miliardi di euro

La spesa per la Sanità digitale in Italia nel 2022 vale 1,8 miliardi di euro, +7% rispetto al 2021. La maggior parte delle aziende sanitarie ha intenzione di investire in Cybersecurity, Cartella Clinica Elettronica e nell’integrazione con sistemi regionali o nazionali. E se rallenta la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico, aumenta la richiesta di nuovi prodotti e servizi basati sul digitale in ambito sanitario. Alcune tecnologie a supporto del paziente a domicilio sono già abbastanza diffuse, come app per la salute o dispositivi indossabili per monitorare i parametri clinici, e quelle più innovative destano la curiosità dei pazienti.
Tra i medici però emerge preoccupazione sul possibile utilizzo inappropriato da parte dei cittadini dell’Intelligenza artificiale. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

Il Fascicolo Sanitario Elettronico

Dalla rilevazione svolta in collaborazione con Doxa Pharma, emerge che nel 2023 il 35% dei cittadini ha fatto almeno un accesso al FSE (33% nel 2022) e la maggior parte (53%) afferma di averlo usato solo per le funzionalità legate all’emergenza Covid (consultazione del Green Pass, dei certificati vaccinali, ecc.). Anche nell’uso del Fascicolo si riscontra una situazione di stabilità, con il 57% che afferma di averlo utilizzato (54% del 2022), soprattutto per l’accesso a referti e ricette elettroniche.
Tra i servizi più interessanti per il futuro, la possibilità di visualizzare l’andamento dei propri parametri clinici (67%) e consultare informazioni specifiche sulla propria patologia (65%).

La Telemedicina

La maggior parte dei medici utilizza e-mail e WhatsApp per comunicare con i pazienti. Tuttavia, app o piattaforme di comunicazione dedicate all’uso sanitario sono sempre più considerate un’alternativa valida dai professionisti sanitari (33% medici specialisti, 38% medici di Medicina Generale, 40% infermieri), come emerge dalle rilevazioni svolte in collaborazione con AMD, AME, PKE e SIMFER, FIMMG, e FNOPI. Quanto alla Telemedicina, dopo la flessione riscontrata nel periodo successivo alla pandemia, sta vivendo una nuova ripresa. Il 39% dei medici specialisti e il 41% dei medici di Medicina Generale afferma di aver utilizzato servizi di Televisita, e rispettivamente il 30% e il 39%, ha fatto ricorso al Telemonitoraggio. 

Cartella Clinica Elettronica e AI

Lo sviluppo della Cartella Clinica Elettronica si conferma una priorità per le strutture sanitarie (75%): il 42% afferma di averne una attiva in tutti i reparti, mentre nel 23% dei casi solo parzialmente, e solo la metà dei medici specialisti la utilizza.
Le funzionalità più diffuse sono anamnesi e inquadramento clinico, e gestione e visualizzazione delle informazioni di riepilogo sul paziente, mentre ancora poco diffuse quelle più avanzate, legate al supporto decisionale. Tra le applicazioni di AI più diffuse, e più utilizzate dai medici specialisti, emergono invece le soluzioni per analizzare immagini e segnali a fini diagnostici o di trattamento.
Considerate come le più promettenti per il futuro (60%), il 29% delle strutture sanitarie ha già avviato le prime sperimentazioni in questa direzione.

L’età media dei lavoratori sale a 42,7 anni, e cresce il pay gap

A fotografare la ‘fatica’ dei giovani lavoratori alle prese con un mercato del lavoro sempre più anziano è uno studio allegato all’ultimo Rapporto annuale Inps firmato dagli economisti Nicola Bianchi, della Northwestern Kellogg School of Management, e Matteo Paradisi, dell’Einaudi Institute for Economics and Finance. Di fatto, lo studio sottolinea come in Italia l’età media della forza lavoro sia salita dai 35,8 anni del 1985 ai 42,7 anni nel 2019. Ma la conseguenza di un progressivo invecchiamento dei lavoratori ha un risvolto inaspettato: “La maggiore offerta di lavoratori più anziani non ha frenato la crescita del loro salario rispetto ai lavoratori più giovani – si legge nel rapporto -. Anzi, il divario salariale per età si è notevolmente ampliato a favore dei lavoratori più anziani”, salito tra il 1985 e il 2019 del 19%.

Al divario salariale si associa un rallentamento delle carriere dei giovani 

Si tratta di un gap salariale che l’Italia condivide, seppure in termini meno spiccati, anche con altri Paesi. Il divario salariale è infatti aumentato del 10% a favore dei lavoratori anziani anche negli Stati Uniti, dell’11% nel Regno Unito (1997-2019) e del 17% in Danimarca (1997-2019). Ma anche la Germania registra un pay gap di questi livelli. Anzi, considerando l’ampio campione di lavoratori e imprese italiane e tedesche, lo studio registra come “l’allargamento del divario salariale per età sia associato a un rallentamento delle carriere dei lavoratori più giovani, mentre quelle dei lavoratori più anziani sono migliorate”.

Posizioni manageriali ricoperte sempre dai senior 

Dal 1985 al 2019, infatti, “la probabilità che i lavoratori più giovani si trovassero nel quartile più alto della distribuzione dei salari è diminuita del 34%, mentre la stessa probabilità, per i lavoratori più anziani, è aumentata del 16%”. Inoltre, la probabilità che i lavoratori più giovani ricoprano posizioni manageriali “è diminuita di due terzi tra il 1985 e il 2019, mentre è aumentata dell’87% tra i lavoratori più anziani”.

Le cause? Esternalizzazione del lavoro e aumento dell’età pensionabile

Tra le cause che alimentano il divario salariale gli economisti sembrano propensi a indicare, almeno dal 2005 a oggi, il crescente utilizzo delle esternalizzazioni cui ricorrono le imprese, ma anche, per quanto riguarda la mancata carriera dei giovani in Italia, una diminuzione della produttività aziendale insieme a un aumento dell’età pensionabile.
I lavoratori più anziani, riporta Adnkronos, “hanno esteso le loro carriere occupando le loro posizioni apicali più a lungo – aggiunge lo studio -, impedendo ai lavoratori più giovani di raggiungere le posizioni meglio retribuite”.

Four Days Week: c’è chi la sta già adottando con successo 

Ha iniziato l’Islanda, uno dei primi paesi a testare tra il 2015 e il 2019 la settimana di quattro giorni per 35-36 ore di lavoro. E i risultati sono stati buoni, con le imprese che hanno registrato una maggior produttività e l’86% dei dipendenti che ha scelto i quattro giorni all’insegna del ‘meno stress’.
E in Italia? Nel nostro Paese non esiste ancora una normativa sul tema Four Days Week, ma alcune aziende hanno volontariamente ridotto l’orario di lavoro, e di recente Intesa Sanpaolo ha offerto ai suoi 74mila dipendenti la possibilità di concentrare il monte ore settimanale su quattro giorni anziché cinque, e di estendere lo smart working fino a 120 giorni l’anno.

Dalla Gran Bretagna al Giappone viva la settimana corta

In Nuova Zelanda le sperimentazioni sono iniziate nel 2018, introdotte da società come Unilever e poi rilanciate dal Governo, ma è in Gran Bretagna che è stato condotto il test più corposo. Tra giugno e dicembre dell’anno scorso hanno sperimentato la Four Days Week 61 imprese con quasi tremila dipendenti: aziende di software, di recruitment, industrie, società no profit e di ristorazione. I risultati sono andati al di là di ogni aspettativa. Delle 61 che avevano iniziato il test, 38 hanno esteso la sperimentazione della settimana corta e 18 hanno deciso di adottarla per sempre. Anche la Spagna nell’autunno del 2021 ha avviato un test triennale, con l’obiettivo di ridurre a 32 ore su quattro giorni la settimana lavorativa, mentre il Belgio nel 2022 ha introdotto la settimana corta ma senza tagliare le ore. L’idea è stata di concentrarle in quattro giorni previo accordo tra datore di lavoro e dipendente, con un periodo di prova di sei mesi. 

Quali sono i vantaggi?

Anche la Svezia, gli Stati Uniti e il Giappone stanno sperimentando l’adozione di questa formula lavorativa. Insomma, esperimento dopo esperimento, la Four Days Week sta diventando realtà in alcuni settori e in diversi paesi, europei e non. Ma quali sono i vantaggi? I benefici della Four Days Week sono innegabili. Al di là della miglior produttività e del benessere del dipendente, non vanno dimenticati quelli ambientali. Lavorare quattro giorni anziché cinque per i pendolari significa risparmiare chilometri e per le aziende utilizzare meno energia elettrica e riscaldamento.

Restano alcuni dubbi

Digitale a parte, in alcuni settori tradizionali rimodellare l’intera organizzazione su quattro giorni non è sempre facile. Come segnala l’Osservatorio del Politecnico di Milano, riferisce Ansa, vanno anche considerati gli impatti sui processi operativi e sulla necessità di coordinamento tra chi lavora quattro e chi cinque giorni, sia all’interno sia all’esterno dell’azienda.  Poi ci sono Paesi, come l’Italia, dove si lavora molto in termini di ore, ma con un basso livello di produttività. Quindi, l’introduzione della settimana breve andrebbe accompagnata a misure in grado di aumentare una produttività finora poco brillante.

Nome in codice Magi: i nuovi strumenti Google basati sull’AI

Lo rivela il New York Times: a maggio Google lancerà nuovi strumenti di AI. Si tratta di nuovi tool dal nome in codice ‘Magi’ basati sull’adozione della AI generativa nella vita quotidiana, come Google ha già cercato di fare con Bard. L’obiettivo di Bard e della AI applicata a Google è rendere più semplice e intuitivo l’accesso a informazioni complesse, traducendo domande formulate in linguaggio naturale in query di ricerca più precise, e restituire risultati pertinenti in modo efficiente. Google continua così la rincorsa nei confronti di Microsoft, che sta integrando le soluzioni di OpenAI nel proprio motore di ricerca Bing, e in futuro lancerà una versione di Office con assistente AI. In ogni caso, i nuovi tool all’inizio saranno disponibili solo negli Stati Uniti, e aperti a un massimo di un milione di utenti tester, riporta Adnkronos.

Completare transazioni senza passare dai siti di terze parti

Più in particolare, secondo il New York Times Google sarebbe al lavoro su due progetti paralleli legati al proprio motore di ricerca. Oltre a quello noto internamente con il nome in codice Magi, che punterebbe all’integrazione di funzionalità basate sull’AI nel servizio già online, il secondo porterebbe al lancio di una piattaforma completamente inedita. La prima iniziativa, Magi, dovrebbe essere ufficializzata forse in occasione dell’evento I/O 2023, con l’avvio di una fase di test strutturata in modo da coinvolgere un piccolo gruppo di utenti. Stando a quanto trapelato, grazie alle novità introdotte, chi naviga dovrebbe poter completare transazioni come l’acquisto di un prodotto o la prenotazione di un viaggio direttamente dall’interfaccia del servizio, senza passare dai siti di terze parti.

Simile alle potenzialità di ChatGPT

Sarebbero oltre 160 i dipendenti già al lavoro a tempo pieno per far sì che la visione si possa concretizzare in tempi brevi. Tra le funzionalità integrate, anche quella che permetterebbe di scrivere codice sulla base di una richiesta ricevuta. In estrema sintesi, qualcosa di simile a quelle che oggi sono le potenzialità di ChatGPT e di altri strumenti della stessa categoria. A condire il tutto, l’immancabile dose di advertising che permetterebbe alla società di evolvere e rafforzare il proprio business legato alle inserzioni pubblicitarie.

Un motore di ricerca tutto nuovo?

Come già detto, ci sarebbe poi un motore di ricerca tutto nuovo e potenziato da strumenti di AI. Le fonti dell’indiscrezione lo descrivono così: “Il nuovo motore di ricerca offrirebbe agli utenti un’esperienza molto più personalizzata rispetto all’attuale servizio della società, provando ad anticipare le loro esigenze”.
Nessuna tempistica indicativa per il lancio, riferisce Punto Informatico, perché in questo caso lo sviluppo sarebbe ancora nelle prime fasi. Le informazioni trapelate fanno riferimento a una modalità d’interazione basata sulla conversazione, richiamando dunque di nuovo alla mente le dinamiche tipiche dei chatbot (come già avviene per il nuovo Bing potenziato da GPT-4). È forse in questo ambito che il progetto Bard potrà esprimere tutte le sue potenzialità.

L’enoturismo accelera: crescono le cantine e si amplia l’offerta 

Un turismo che accelera, quello legato al vino, con l’aumento nel numero e nelle tipologie delle esperienze offerte ai viaggiatori eno-appassionati. Infatti, dal 3 aprile di 30 anni fa, quando a Verona nasceva la prima associazione sull’enoturismo, le cantine turistiche del Movimento Turismo del Vino sono triplicate, arrivando a 265, e hanno diversificato l’offerta. Determinante è stato il ruolo delle Donne del Vino e dei 145 comuni delle Città del Vino affiliati al Movimento, che per celebrare l’anniversario del Movimento hanno presentato a Vinitaly l’indagine a cura di Nomisma – Wine Monitor. Un’indagine che va a costituire un Osservatorio sul turismo del vino e attesta i dati di crescita del comparto. Ma anche qualche criticità.

La wine hospitality delle Donne del Vino

Benché le cantine turistiche italiane siano dirette soprattutto da uomini (55%), il management della wine hospitality è soprattutto femminile (73%). La wine hospitality delle Donne del Vino si differenzia per una maggiore diversificazione dell’offerta. Non solo vino, quindi, ma anche attività legate al benessere, alla ristorazione (28%) e ai corsi di cucina (40%), alla ricettività (36%), allo sport (piscine 15%) e all’organizzazione di visite a luoghi limitrofi o di collegamento a eventi culturali (50%). In altre parole, le donne stanno efficacemente trasformando l’attrattiva vino in una proposta di soggiorno con attività legate all’arricchimento culturale e alla rigenerazione, che ha origine nella natura.

L’identikit delle cantine turistiche italiane

La tipologia di cantina turistica più diffusa in Italia è quella piccola e familiare (39%), particolarmente presente in Campania, Puglia e Umbria. Seguono le cantine con rilevanza storica o architettonica (14%), più presenti in Veneto e in Piemonte, mentre le imprese con marchio famoso o storico sono il 12% del totale, particolarmente diffuse in Veneto e Sicilia. Piemonte, Toscana, Friuli e Sicilia si caratterizzano invece per imprese del vino con particolari bellezze paesaggistiche e naturalistiche (11%). mentre in Puglia e in Umbria è più alta la quota di cantine organizzate per l’incoming.

Parola d’ordine dei Comuni: fare sempre più rete

L’indagine evidenzia però due elementi critici: il 44% delle cantine sono lontane dai circuiti turistici o enoturistici, soprattutto in Friuli Venezia Giulia, Umbria e Campania. Inoltre, la metà delle cantine chiude al pubblico nel fine settimana e nei giorni festivi. Chiusura che riguarda anche molti uffici turistici, costituendo un problema rispetto ai flussi dei visitatori, più concentrati nei giorni di festa.
Come e cosa possono migliorare i Comuni per favorire l’enoturismo? Anzitutto potenziare gli uffici di informazione turistica e la loro apertura nei giorni festivi, poi sostenere la formazione del personale, anche degli uffici pubblici, in materia enoturistica. Inoltre, favorire la dotazione di strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale. E promuovere una maggiore condivisione delle collaborazioni per ‘fare sempre più rete’.

Apple si adegua e in Europa adotta la porta USB-C 

Secondo le voci di corridoio provenienti dalle catene produttive Apple, la società americana ha deciso di abbandonare il connettore Lightning per la ricarica dei suoi dispositivi in favore della connessione USB-C. Dopo dieci anni di utilizzo della sua tecnologia proprietaria, Apple si è dovuta adeguare al nuovo standard di ricarica, che ha già introdotto su iPad e Mac. La decisione dell’Unione Europea di rendere obbligatorio lo standard per tutti i dispositivi, ha fatto sì che Apple si prepari a immettere sul mercato nuove versioni dei suoi prodotti che utilizzano ancora il connettore Lightning, anche se non tutti. Secondo il Parlamento europeo, che ha votato in questo senso a ottobre 2022, le nuove linee guida dovrebbero far risparmiare ai consumatori dell’UE 250 milioni di euro all’anno, perché si eviterebbero acquisti di caricabatterie non necessari. Inoltre si ridurranno sensibilmente i rifiuti elettronici.

La “rivoluzione” inizia con i nuovi iPhone

La prima linea di dispositivi ad adottare l’USB-C., riferisce Adnkronos, sarà quella degli iPhone, a partire dalla quindicesima generazione, in arrivo a settembre 2023. La nuova connessione offrirà vantaggi non solo nella facilità di ricarica, ma anche in termini di velocità e efficienza di consumo. Si prevede che Apple possa incentivare il marketing del prossimo iPhone come il più veloce a ricaricare di sempre e con la batteria che dura più a lungo.

Anche gli accessori Mac seguiranno la direttiva

Insieme al nuovo iPhone, verranno lanciati anche gli accessori Mac, come il Magic Mouse, il Magic Trackpad e il Magic Keyboard, tutti dotati di connessione USB-C. Le AirPods Pro di seconda generazione saranno anch’esse aggiornate, mentre le AirPods di terza generazione e le AirPods Max rimarranno dotate del connettore Lightning almeno fino al 2024, quando Apple sarà obbligata ad aggiornarle per continuare a venderle in Europa.

Un cavo di ricarica uguale per tutti

In sintesi, Apple si unirà alla maggior parte dei produttori di dispositivi mobili che già utilizzano la connessione USB-C, abbandonando il proprio connettore proprietario. La decisione dell’Unione Europea di rendere obbligatorio lo standard USB-C, ha costretto Apple ad adeguarsi, immettendo sul mercato nuove versioni dei suoi prodotti che utilizzano ancora il connettore Lightning. Tuttavia, Apple si prepara a lanciare la prossima generazione di iPhone, accessori Mac e AirPods Pro di seconda generazione, tutti dotati di connessione USB-C, offrendo vantaggi in termini di velocità e efficienza di consumo.

Un anno di tendenze: la “tempesta perfetta” del 2022

I fatti che hanno caratterizzato il 2022 ci hanno traghettato in un mondo diverso, distinto da nuove abitudini e trend emergenti che ci accompagneranno nel corso del 2023, e probabilmente, anche oltre. Nell’edizione 2023 del report Un anno di Tendenze, GS1 Italy ha raccolto una sintesi dei contenuti apparsi nell’arco dei 12 mesi trascorsi e dei temi chiave che hanno caratterizzato lo scorso anno.
“La piega, inattesa e drammatica, che hanno preso gli eventi ci ha costretti a fare i conti con uno scenario completamente diverso e quanto mai ingarbugliato – commenta Francesco Pugliese, presidente GS1 Italy -: una ‘tempesta perfetta’ che ha avuto, e avrà ancora a lungo, effetti molto concreti e pratici sulla nostra vita quotidiana”.

Tempi straordinari: rinuncia, riduci, rinvia

Con la guerra russo-ucraina è arrivato un altro tsunami sull’economia, già provata dalla pandemia: il caro bollette si aggiunge a una crisi sociale delle famiglie, e pesa come un macigno sui conti delle aziende. E per le imprese del largo consumo e del retail si tratta di ripensare ai modelli organizzativi interni e alla relazione tra industria e distribuzione. Di fronte all’incalzare dell’inflazione le strategie messe in atto dal consumatore prevedono una spending review dei beni non essenziali, che diventa però anche un nuovo modo di intendere il consumo: più flessibile, variabile, distintivo, frammentato e contraddittorio. Con alcuni punti di riferimento però non negoziabili (la ricerca della convenienza, l’intercambiabilità dei canali di acquisto, la condivisione dei valori), che rendono necessari nuovi strumenti di analisi qualitativa e quantitativa.

Il coraggio di innovare: visioni condivise

Nella nuova economia digitale i lavori relativi all’innovazione non si fermano, scandagliano nuovi canali e nuove tecnologie, e convergono in una direzione precisa: il rafforzamento dell’omnicanalità declinata nelle forme più diverse. A beneficiarne sono i percorsi di acquisto dei consumatori, ma per le aziende è fondamentale mettere a punto processi efficienti offline e online, per esperienze senza frizioni. Inoltre, il progresso tecnologico a livello globale trae maggiore forza dalle regole di un linguaggio comune, capace di rendere più efficienti i processi e le relazioni professionali, e viceversa.
Il sistema degli standard globali è la pietra miliare su cui si fonda il futuro sostenibile della società contemporanea, delle attività economiche, della salute, e dei consumi.

Strategia verde e supply chain condivisa

La lotta al cambiamento climatico e alle disuguaglianze è in cima all’agenda della normativa europea e delle istituzioni internazionali, che indicano una direzione precisa alle aziende e ai cittadini. Strumenti e soluzioni che a essa si richiamano, sostengono e guidano gli sforzi delle imprese verso pratiche sempre più sostenibili. E il retail può essere uno dei protagonisti.
Chiamate a ripensare i processi, a sperimentare soluzioni innovative e ad attivare sinergie capaci di ottimizzare la filiera con vantaggi economici e ambientali, le imprese del settore del largo consumo possono ottenere risultati solo condividendo le esperienze e le iniziative di successo. Per farle diventare patrimonio di conoscenza a disposizione di tutti.

Il futuro degli italiani fra incertezze e strategie di risparmio

Il 38% degli italiani che riescono a risparmiare lo fanno perché condizionati da un futuro che percepiscono come incerto. Ma un italiano su 4 dichiara di spendere tutto quello che guadagna, e il 26% delle famiglie teme concretamente di non arrivare alla fine del mese. È quanto emerge dalla prima rilevazione dell’Osservatorio Changing World, il nuovo strumento sviluppato da Nomisma per supportare i decisori all’interno di aziende, associazioni e organizzazioni al fine di decifrare l’evoluzione dei mercati sulla base di elementi oggettivi. E in questo modo, poter individuare le strategie più efficaci per affrontare con successo un periodo storico complesso e particolarmente sfidante.

Il difficile contesto internazionale si riflette sui consumatori

Pandemia, conflitto russo-ucraino, impennata dei costi dell’energia e rialzo dell’inflazione sono i principali fattori che negli ultimi tre anni hanno colpito gli ecosistemi economici, produttivi e sociali, generando un diffuso clima di incertezza. Questo si riflette sui consumatori, che iniziano ad avvertire la diminuzione del loro potere d’acquisto. Un dato confermato dall’ultima rilevazione Istat, che ha visto le vendite al dettaglio diminuire dello 0,8% in volume.

Il decluttering del “carrello”

Dall’Osservatorio emerge come nell’ultimo anno l’88% delle famiglie italiane abbia adottato alcune strategie di risparmio per far fronte al rincaro dell’energia e all’aumento generale dei costi, fattori che incidono sulle scelte di acquisto. 
“Entrando nel dettaglio dell’indagine, vediamo che per contenere gli effetti dell’inflazione sul budget familiare, gli italiani optano per strategie di decluttering del carrello: riducendo gli sprechi (58%), rinunciando a prodotti e servizi ritenuti superflui (45%), e limitando gli acquisti a voci di spesa davvero essenziali (40%). A questo aspetto si unisce la ricerca di offerte e promozioni (51%)”, osserva Valentina Quaglietti, Senior Project Manager e Responsabile Osservatori Cliente di Nomisma.

Il 14% degli italiani guadagna meno di quanto avrebbe bisogno

Nonostante gli sforzi di contenimento delle uscite, il 14% degli intervistati ritiene di guadagnare meno di quanto avrebbe bisogno per sostenere le spese necessarie. Peraltro, il 25% degli italiani, per far fronte ai costi e agli imprevisti legati alle utenze, all’abitazione e all’alimentazione si ritrova a spendere tutto il budget familiare a disposizione, senza potersi permettere altro. Il 7% rinuncia al risparmio per acquistare beni e servizi non strettamente necessari ma che consento di condurre una vita in qualche modo più agiata. Il 54%, invece, riesce ad accantonare qualcosa, senza dover fare troppe rinunce, in virtù di una spesa minore rispetto alle sue entrate.

Valori, come guidano le scelte di acquisto dei consumatori?

Ognuno di noi ha una precisa scala di valori, alla quale cerca di attenersi nelle diverse situazioni della vita. Tali valori, però,  hanno pesi diversi a seconda del momento della nostra esistenza. In ogni caso, a prescindere dalle differenze generazionali, i valori guidano anche le decisioni di acquisto. Per un numero crescente di consumatori, infatti, la scelta di cosa acquistare non è più legata solo al prezzo o al prodotto, ma anche ai valori che un brand incarna. In sintesi, chi deve effettuare un acquisto predilige i marchi che in qualche modo incarnano la medesima visione del mondo. Di conseguenza, la comunicazione aziendale deve tenere sempre più conto dell’attualità, dei valori e dei temi della contemporaneità, anche se questi potrebbero sembrare “lontani” dai propri mercati di riferimento. Poiché i consumatori hanno sensibilità diverse, per le aziende è oggi un imperativo comprendere quali siano le problematiche più vicine e più sentite dal loro target.

I benchmark della Generazione Z

Queste nuove indicazioni sono inserite nel rapporto Gfk “Sinotica Highlights: generazioni a confronto”. Dall’analisi, ad esempio, si può rilevare rilevato che i temi “caldi” tra le giovani generazioni in Italia sono soprattutto l’inclusione e l’abbattimento delle barriere. Per la fascia di età 20-24 anni della GenZ, valori come l’inclusione, la lotta al razzismo e al body shaming, la fluidità di genere e le pari opportunità di lavoro per uomini e donne sono assolutamente fondamentali. Inoltre, questo segmento di giovani italiani è particolarmente coinvolto quando brand e aziende prendono posizione su questi temi.

Gli “over” attenti alla tutela del Made in Italy

I valori degli italiani over 55 sono notevolmente diversi. Per la fascia di età più matura, la crisi sanitaria e climatica e la tutela del Made in Italy sono senza dubbio valori fondamentali. In particolare, il Made in Italy è un importante driver di acquisto per questo specifico target: il 72% degli over 55 apprezza le aziende che si impegnano nella tutela dei prodotti italiani.

Linguaggi e media diversi a seconda del target

A seconda dei target e dell’età del pubblico di riferimento, vanno di conseguenza adattati anche i linguaggi di comunicazione, al fine di renderli efficaci. Ad esempio, nella fascia di età 14-19 anni, gli spot spettacolari con elementi trasgressivi e che utilizzano celebrità come testimonial sono particolarmente apprezzati. Pertanto, per comunicare in modo produttivo, è imperativo utilizzare non solo linguaggi, ma anche media e touchpoints appropriati.