Nel 2023 gli italiani hanno speso 187 miliardi in beni di consumo

Nel 2023 la spesa dei consumatori per i beni di largo consumo e per i beni tecnologici e durevoli è aumentata del 5,2% rispetto al 2022, registrando un fatturato complessivo di 187 miliardi di euro.

L’aumento è stato determinato in particolare dalla crescita del prezzo dei prodotti alimentari e per la cura della persona, mentre le famiglie sono rimaste più caute nelle spese di alcuni prodotti T&D (beni di consumo tecnologici, elettrodomestici, fai da te).
Emerge dal nuovo Barometro dei Consumi di NIQ, che offre una panoramica completa della spesa nel settore FMCG (prodotti alimentari, deperibili, cura della casa e della persona) e nel settore T&D.

Una crescita del fatturato senza precedenti 

Nel 2023, nel settore del largo consumo, si è registrata una crescita del fatturato senza precedenti che ha superato i 134 miliardi di euro, +7,9% rispetto al 2022, alimentato principalmente dall’aumento a doppia cifra dei prezzi.

Nonostante l’inflazione abbia eroso il potere d’acquisto dei consumatori, i beni di prima necessità hanno mantenuto un livello stabile di vendite a volume, con una modesta flessione del -1,7% (nel perimetro dei prodotti confezionati). Secondo il Barometro dei Consumi, le categorie che hanno mostrato le performance migliori sono state il settore alimentare, con un aumento dell’8,9% e un giro d’affari di 82 miliardi di euro nel 2023, e il fresco, +8,2%.
Anche i prodotti per la cura della casa e della persona hanno registrato una solida crescita, pari a +7,0%.

L’effetto inflazione spinge le vendite

Analizzando i dati trimestrali, emerge come l’effetto dell’inflazione, con un valore medio dell’11,3% nel 2023, sia stato più pronunciato nei primi sei mesi dell’anno.
Ciò ha contribuito a spingere le vendite, in crescita rispettivamente del 9,2% nel primo trimestre e del 9,8% nei mesi di aprile, maggio e giugno. Successivamente, l’inflazione si è stabilizzata, con una crescita delle vendite più moderata (+7,8%) nel terzo trimestre.

Nei mesi di ottobre, novembre e dicembre, l’effetto dell’inflazione si è attenuato ulteriormente, toccando il punto più basso di crescita a valore, pari al 5,1%.

Un anno di contrasti per il mercato T&D

Il mercato dei beni tecnologici e durevoli (T&D) in Italia nel 2023 ha attraversato un anno di alti e bassi e una lieve decrescita rispetto al 2022, registrando un fatturato di 53 miliardi di euro.
Il settore dell’Home Improvement, che comprende prodotti per il miglioramento della casa e l’arredamento, ha iniziato il 2023 con una crescita solida (+5,3%), ma ha chiuso l’anno con una flessione del -0,2%.

Il settore Technical Consumer Goods (TCG), che include elettronica di consumo, telefonia, IT, prodotti per l’ufficio, fotografia e altri beni tecnologici, ha sofferto un calo significativo nel 2023, pari a -5,4%.
Tuttavia, alcune sottocategorie, come gli elettrodomestici, hanno registrato una crescita positiva nel 2023, e il settore ha chiuso l’anno a 6 miliardi di euro (+3,2%).

Le aziende Controvento generano il 14,2% del valore aggiunto della manifattura

C’è un gruppo di imprese del settore manifatturiero italiano capaci di crescere nonostante gli ostacoli: sono le aziende Controvento. Queste imprese vantano performance altamente sopra la media, e si distinguono per alcuni parametri particolarmente indicativi, come la crescita dei ricavi, la marginalità e la creazione di valore aggiunto.

Le aziende Controvento rappresentano, quindi, le eccellenze imprenditoriali del Paese. Complessivamente, generano il 9,4% dei ricavi, pari a 101,3 miliardi di euro, il 21,1% dell’EBITDA, e il 14,2% del valore aggiunto complessivo della manifattura italiana.
Emerge dalla quinta edizione dell’Osservatorio ‘Controvento: le aziende che guidano il Paese’, curato da Nomisma in collaborazione con CRIF e CRIBIS.

Imprese eccellenti nonostante l’economia “zero-virgola”

L’Osservatorio Controvento è nato con l’obiettivo di identificare le imprese manifatturiere nazionali capaci di performance straordinarie anche nell’attuale economia italiana dello ‘zero-virgola’. 
Negli ultimi 5 anni la quota di queste imprese oscilla tra il 6,5% e il 7,2%, con un ricambio annuo pari al 50% del totale. Si rileva quindi un fenomeno ricorrente che porta a pensare che la massa trainante sia rappresentata da questa quota.

Tra le imprese Controvento la classe dimensionale non sembra incidere sulla marginalità. Negli ultimi 5 anni le performance più positive riguardano maggiormente le micro e piccole imprese, con un EBITDA in crescita rispettivamente del +295% e del +234.

Una superiore capacità competitiva

Considerando i ricavi prodotti tra il 2017 e il 2022, quelli delle imprese Controvento sono cresciuti del 96%, mentre il resto delle imprese è complessivamente cresciuto del 39%.
Le imprese Controvento con oltre 500 dipendenti crescono in maniera più contenuta (+81% ricavi), mentre le grandi imprese mostrano performance migliori di tutti i cluster (+129%).

Inoltre, negli ultimi anni si osserva un allargamento del target di imprese Controvento verso il Sud, sebbene il Nord-Est riconfermi una maggiore predisposizione a ospitarle, con il Veneto l’unica regione entrata per 5 edizioni consecutive nel report sia per numero di imprese sia per ricavi prodotti.

Packaging, cosmetica, minerali i settori vincenti

Quanto ai settori produttivi, si possono individuare alcuni comparti che accentuano la propria rilevanza tra le imprese Controvento. Tra quelli vincenti, nei quali l’incidenza relativa delle variabili considerate (numero di imprese, ricavi, EBITDA, valore aggiunto) è sempre superiore alla media, si segnalano i comparti della cosmetica, della metallurgia e metallo, del legno e sughero, e la carta.

Prendendo in esame i soli ricavi, i settori che negli ulti 5 anni sono sempre rientrati in Controvento sono il packaging, la cosmetica, i minerali non metalliferi e il metallo.
Dall’altra parte, i settori mai entrati nel gruppo delle aziende con performance sopra la media vanno segnalati quelli alimentare, delle apparecchiature elettriche e della stampa.

Inflazione: a dicembre 2023 prosegue la preoccupazione degli italiani

A dicembre, per il 20° mese consecutivo, l’inflazione è la prima preoccupazione per il 38% dei cittadini a livello globale, una percentuale in diminuzione di un solo punto rispetto a ottobre 2023.

Lo rileva l’ultima edizione di ‘What Worries the World’, l’indagine di Ipsos a cadenza mensile sulle principali preoccupazioni su questioni sociali e politiche in 29 Paesi. Secondo l’Ipsos Global Inflation Monitor, invece, l’Italia nel contesto Europeo è il Paese dove cittadini e cittadine lamentano maggiormente difficoltà nella gestione delle proprie finanze.

Consumatori insoddisfatti della propria situazione economica

La preoccupazione per l’inflazione in Italia rimane quindi elevata, e se si considera la soddisfazione della propria condizione economica, il Paese si presenta diviso in due.
Considerando che una persona su quattro crede che a una diminuzione del tasso di inflazione corrisponda una diminuzione dei prezzi, risulta evidente come sia difficile giungere a una situazione di allineamento tra accadimenti e aspettative.

Per i consumatori insoddisfatti della propria condizione economica si acuiscono fattori che tendono a diventare strutturali, come un aumento delle spese fisse e una diminuzione delle entrate, sia reale o percepita se parametrata al costo della vita.

I compromessi degli italiani per non ridurre i consumi

In generale, gli aumenti dei prezzi continuano a incidere molto sui consumi considerati comprimibili.
Le persone non vedono soddisfatta la loro aspettativa di una riduzione della quota di reddito dedicata a spese energetiche e spese fisse (mutui, affitti, ecc.). Ma in questo contesto, il carrello della spesa non modifica la sua composizione in termini di prodotti, bensì diminuisce il suo valore.

Nel corso del tempo la ricerca delle promozioni rimane la scelta per eccellenza per sostenere i propri consumi.
Con l’obiettivo di risparmiare, i consumatori adottano molteplici strategie per le diverse categorie di prodotto. Prima di ridurre o rinunciare del tutto agli acquisti cambiano i luoghi di acquisto favorendo discount e web, e fanno scorta di prodotti in promozione.

Il fenomeno della shrinkflation

L’ultima rilevazione dell’Osservatorio Inflazione registra un’ulteriore crescita della convinzione che oggi gli aumenti dei prezzi inizino a essere speculativi soprattutto da parte delle aziende produttrici.
Migliora, invece, la percezione nei confronti della distribuzione. Il carrello tricolore sembra avere avuto un ruolo nel sostenere l’immagine dei retailer.

Al contrario, non gioca a favore della produzione il fenomeno della shrinkflation, la pratica di ridurre il packaging e il contenuto dei prodotti, ma senza una relativa diminuzione di prezzo. Un fenomeno ormai sperimentato da sette persone su dieci, in particolare, sui prodotti abituali.

Parchi divertimento italiani: un business dal futuro green 

Secondo i dati SIAE nel 2022 il settore dei Parchi divertimento italiani ha generato un giro d’affari di 1 miliardo di euro, tra biglietteria (+75% sul 2021), attività di ristorazione e merchandising. Cifra che sale a 2 miliardi di euro considerando l’indotto esterno (hotel, centri commerciali e altri servizi).
È il miglior risultato dell’ultimo quinquennio, superiore anche ai numeri pre-pandemia (+10,9% sul 2019).
“La sfida di oggi, però, è trasformare questa proattività in una vera e propria strategia progettuale, affinché la sostenibilità diventi fattore stesso di crescita per i parchi di domani – commenta Maurizio Crisanti, segretario nazionale dell’Associazione Parchi Permanenti Italiani durante la 22° edizione dei Parksmania Awards -. Un elemento imprescindibile per garantire un’offerta di tempo libero di qualità alle generazioni future”.

“Tra i primi a promuovere una vera e propria cultura della sostenibilità”

Per i Parchi Permanenti italiani emerge quindi la necessità di progettare un futuro green. E definire le linee guida per lo sviluppo sostenibile di un comparto composto da circa 230 aziende, tra parchi tematici, faunistici, avventura e acquatici, che assicura 30.000 posti di lavoro, tra fissi e stagionali, 60.000 considerando l’indotto.
“I parchi divertimento vengono considerati energivori –  aggiunge Crisanti -, ma in realtà lavorano da anni per ridurre il loro fabbisogno energetico e sono stati tra le prime aziende in Italia a promuovere una vera e propria cultura della sostenibilità, sensibilizzando anche il pubblico: dalla riduzione dei consumi di plastica alle pratiche virtuose basate sul riciclo e sulla circolarità, fino all’impiego di energia da fonti rinnovabili”.

Ingressi: +72%, Veneto in testa

Sul fronte dei visitatori, SIAE certifica per il 2022 18.463.628 ingressi, +72% sul 2021, anche se in lieve flessione (-5%) sul 2019, anno che aveva segnato il record storico.
Al dato SIAE vanno aggiunte le presenze relative a omaggi e operazioni promozionali, per un totale stimato di circa 20 milioni di visitatori.
A livello regionale, il primo gradino del podio è saldamente in mano al Veneto, che ospita la maggiore concentrazione di parchi divertimento, seguito da Emilia Romagna, Lombardia e Lazio.
Quanto alla stagionalità, i mesi estivi si confermano dominanti, seguiti da aprile e ottobre, caratterizzati da un ottimo tasso di affluenza nonostante il numero di parchi aperti sia inferiore.

Il trend prosegue anche nei primi 9 mesi del 2023

Il trend descritto dai dati SIAE prosegue anche nei primi 3 trimestri 2023, complici i 120 milioni di euro investiti da inizio anno in nuove attrazioni, spettacoli e ampliamenti.
La stima è di chiudere al 31 dicembre con un incremento del giro d’affari compreso tra l’8% e il 10%, arrivando a quota 22 milioni di visitatori italiani e 1,7 milioni di stranieri. 
Nel prossimo triennio sono previsti investimenti per circa 450 milioni di euro, che oltre a migliorare la competitività dei parchi italiani sul mercato internazionale, avranno immediate ricadute positive su indotto e occupazione, migliorando anche l’attrattività turistica dei territori di riferimento.

Lo stato dell’acqua in Italia “perde”: colpa delle infrastrutture 

Emerge dallo studio realizzato dall’Istituto Eurispes sullo stato delle acque in Italia: siamo terzi in Europa nella classifica dei paesi con maggiori disponibilità di acqua, dietro solo a Svezia e Francia, ma allo stesso tempo siamo il paese con i maggiori consumi pro-capite di acqua potabile (oltre 220 litri giornalieri), e secondo per consumi in agricoltura.

In termini di prelievi pro-capite, con 155 metri cubi annui per abitante, siamo in seconda posizione, preceduti solo dalla Grecia (158) e seguiti da Bulgaria (118) e Croazia (113).
In Italia ogni anno vengono prelevati oltre 30 miliardi di metri di cubi di acqua per tutti i tipi di uso. Siamo al primo posto tra i Paesi Ue per la quantità di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei.

La rete di distribuzione perde il 42,2% del volume immesso

Negli ultimi anni, numerosi studi hanno evidenziato una costante riduzione della quantità di acqua rinnovabile presente sul nostro territorio. Le proiezioni climatiche condotte da ISPRA evidenziano i possibili impatti a breve, medio e lungo termine dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica.

In tema di risorse idriche la principale criticità nel nostro Paese riguarda la presenza di un sistema infrastrutturale antiquato e disfunzionale, concepito sulla base delle necessità degli anni Cinquanta.
L’esempio più emblematico riguarda le perdite idriche nella rete di distribuzione, che nel 2020 sono state pari al 42,2% del volume di acqua immessa. Il che equivale a una perdita pari a 3,4 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno.

Il problema sono le tubature

L’ammodernamento e il rifacimento della nostra rete idrica è forse uno degli elementi più urgenti da affrontare per recuperarne almeno una parte.
D’altro canto, risulta difficile aspettarsi alti livelli di efficienza da una rete che per il 60% risale ad almeno trent’anni fa, e di cui il 25% ha superato i 70 anni di vita. In diversi centri storici italiani, poi, le tubature risalgono addirittura al periodo post-unitario.

Diventa pertanto sempre più urgente adottare misure di adattamento ai cambiamenti climatici, che favoriscano un uso più razionale ed efficiente delle risorse a nostra disposizione.
Bisogna però prendere atto che la crisi idrica non è dovuta solamente a una carenza, spesso momentanea di materia prima, ma è piuttosto dovuta alla mancanza di impianti e reti adeguate sull’intero ciclo dell’acqua.

Senza investimenti la “siccità” diventa strutturale

In assenza di investimenti che possano favorire la captazione, l’immagazzinamento, il trasporto, la distribuzione, la depurazione e il riuso delle acque si rischia di cronicizzare il problema rendendo la mancanza d’acqua una questione strutturale.
Basti pensare che l’Italia potrebbe recuperare, attraverso la depurazione e il riuso delle acque reflue, circa 8,5 miliardi di metri cubi di acqua (poco meno di un terzo dell’acqua consumata annualmente) da destinare all’agricoltura e all’irrigazione dei campi.

Anche i sistemi di controllo industriali sotto attacco informatico

Secondo il report ICS CERT di Kaspersky, nel primo semestre del 2023, in Italia è stato rilevato e bloccato software malevolo su circa il 23,7% dei computer dei sistemi di controllo industriale (ICS). In Italia, le minacce più comuni sono state rappresentate da script dannosi e pagine di phishing (9,7%), risorse Internet non autorizzate (7,7%) e documenti malevoli (4,5%).
Nel medesimo periodo, anche i Paesi generalmente considerati più sicuri hanno registrato un aumento inaspettato degli attacchi informatici ai computer ICS. Questo fenomeno è stato riscontrato in Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Canada e nell’Europa occidentale e settentrionale, regioni solitamente caratterizzate da bassi livelli di minacce. Tuttavia, va sottolineato che tali Paesi conservano comunque percentuali di minacce relativamente basse rispetto ad altre parti del mondo. L’incremento delle minacce è stato principalmente dovuto al blocco di risorse Internet non autorizzate e di script dannosi, che spesso vengono diffusi attraverso la rete e-mail. Inoltre, è stato riscontrato un notevole aumento del rilevamento di spyware in queste regioni.

In Africa la percentuale più alta di minacce

A livello globale, le percentuali di minacce variano significativamente da una regione all’altra. In Africa, ad esempio, è stata registrata la percentuale più alta di minacce (40,3%), mentre il Nord-Europa ha riportato la percentuale più bassa (14,7%). A livello di singoli Paesi, l’Etiopia è risultata avere la percentuale di minacce più elevata (53,3%), mentre il Lussemburgo ha presentato la percentuale più bassa (7,4%). In Europa occidentale, il settore manifatturiero è stato il più colpito (17,4%), seguito dall’energia (16,2%) e dal settore oil & gas (12,2%).

Sicurezza informatica priorità per le industrie

“Per le organizzazioni industriali, la cybersecurity è diventata una questione di tutela degli investimenti e di garanzia di resilienza degli asset principali. I dati emersi dalla nostra analisi degli attacchi al settore industriale offrono insight interessanti sull’evoluzione del panorama delle minacce nei diversi settori. Le aziende che comprendono questi rischi possono prendere decisioni consapevoli, distribuire meglio le risorse, e rafforzare efficacemente le proprie difese. In questo modo, non solo proteggono i propri profitti, ma contribuiscono a un ecosistema digitale più sicuro per tutti”, ha dichiarato Evgeny Goncharov, Head of Kaspersky ICS CERT.

Come proteggere i sistemi ICS

Per proteggere i computer dei sistemi di controllo industriale da diverse minacce, gli esperti di Kaspersky hanno suggerito alcune misure, tra cui condurre regolari valutazioni di sicurezza dei sistemi OT per identificare e risolvere eventuali problemi, effettuare costanti valutazioni delle vulnerabilità e applicare aggiornamenti programmati per i componenti chiave della rete OT. Inoltre, l’uso di soluzioni di rilevamento e risposta agli incidenti come Kaspersky Endpoint Detection and Response è stato consigliato per il rilevamento tempestivo di minacce sofisticate. Infine, è stata sottolineata l’importanza di formare il personale IT e OT sulla sicurezza, al fine di migliorare la preparazione per affrontare nuove e avanzate tecniche dannose.

Riciclo dei materiali, l’Italia più virtuosa di altri Paesi UE

L’Italia mette a segno una performance positiva rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea in termini di riutilizzo dei materiali e impronta materiale, due dei tre indicatori dell’SDG 12, “Consumo e produzione responsabili”. Tuttavia, il nostro paese si posiziona al di sotto della media europea per quanto riguarda l’indicatore che misura i rifiuti pro capite prodotti. Questi dati sono stati certificati da Eurostat, che ha reso pubblici i risultati ottenuti dai vari Paesi dell’UE su questi tre indicatori.

Il tasso di circolarità sale di oltre l’11%

A livello comunitario, nel 2020, il consumo di materie prime è diminuito del 3% (13,7 tonnellate pro capite) rispetto al 2016 (14,0 tonnellate pro capite). Il tasso di circolarità, che misura la quota di materie prime secondarie rispetto a tutti i materiali utilizzati nell’economia, è salito all’11,7% nel 2021, aumentando dello 0,2% rispetto al 2017 (11,5%). Inoltre, la produzione di rifiuti è scesa a 4,8 tonnellate pro capite nel 2020, registrando un calo del 5% rispetto al 2016 (5,1 tonnellate pro capite). È importante notare che il lockdown ha avuto un forte impatto su questi risultati.

SDG 12, cos’è?

L’SDG 12, intitolato “Consumo e produzione responsabili”, richiede una serie di azioni da parte di imprese, politici e consumatori per promuovere modelli di consumo e produzione sostenibili. Questi obiettivi sono parte dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile stabiliti dall’ONU nel 2015 con l’Agenda 2030, che coprono vari aspetti, non solo l’ambito della sostenibilità ambientale ma anche quelli sociali e di governance aziendale. L’indicatore Sdg 12 si basa su tre pilastri: l’uso di tecnologie avanzate per la sostenibilità, l’efficienza delle risorse con la riduzione degli sprechi energetici e la diminuzione complessiva dei rifiuti prodotti.

Italia “rimandata” in rifiuti

In termini di performance europee, l’Italia si colloca al di sotto della media europea solo nell’indicatore che misura i rifiuti pro capite. Nel 2018, i 27 Paesi membri hanno prodotto in media 1.820 chili di rifiuti pro capite, mentre l’Italia ha registrato 1.850 chili pro capite, peggio solo della Germania con 1.872 chili. Francia (1.514 chili pro capite) e Spagna (1.540 chili pro capite) hanno ottenuto risultati migliori. Per quanto riguarda il tasso di circolarità, l’Italia si posiziona bene, con il 20,6% del materiale utilizzato, quasi il doppio della media europea ferma all’11,7%. Anche la Francia ha ottenuto un buon risultato con il 19,2%. Germania e Spagna, invece, hanno registrato tassi di circolarità più bassi, rispettivamente al 12,9% e 9,3% nel 2020.

Migliora l’impronta materiale

Anche l’impronta materiale dell’Italia è migliore della media europea, con 10 tonnellate e 228 quintali pro capite nel 2020, superiore solo a quella spagnola (10 tonnellate e 4 quintali). Entrambi gli Stati si collocano al di sotto della media europea di 13 tonnellate e 654 quintali, con la Francia a 12 tonnellate e 699 quintali e la Germania a 15 tonnellate e 69 quintali. In sintesi, l’Italia deve lavorare per ridurre la produzione di rifiuti pro capite, ma sta ottenendo buoni risultati rispetto ai suoi partner europei negli altri indicatori dell’SDG 12 dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Le Pmi europee e i pagamenti online

Dal 2022 il numero medio di pagamenti per azienda è notevolmente aumentato sia per gli acquisti offline sia online. Tuttavia, nel primo trimestre 2023 i pagamenti online hanno mostrato una crescita su base annua del 40% rispetto al +5% dei pagamenti offline.
Emerge dal report di Qonto sulle abitudini di spesa di 350.000 Pmi e liberi professionisti in Germania, Spagna, Francia e Italia. Sei i dati mostrano la crescente adozione di pagamenti online e l’aumento dell’utilizzo delle carte virtuali da parte delle Pmi europee, le Pmi francesi mostrano il più forte aumento nell’adozione dei pagamenti online in Europa, con il 41% della crescita su base annua, seguita a breve distanza dalle Pmi italiane e tedesche (34%).

Carte virtuali in aumento in tutta Europa

Nel primo trimestre 2023 il numero medio di utilizzo di carte virtuali per azienda è cresciuto tre volte più velocemente su base annua rispetto alle carte fisiche. A questo si somma un aumento del 50% nel corso del 2022. Le carte fisiche rimangono però l’opzione di pagamento preferita per le Pmi europee e i liberi professionisti, con il 60% di utilizzo. In Italia, le carte virtuali hanno superato quelle fisiche dall’estate del 2022 e hanno rappresentato oltre il 60% di tutte le transazioni con carta nel quarto trimestre 2022 e nel primo trimestre 2023.

Spendere soldi in beni primari e servizi online

La maggior parte della spesa aziendale viene destinata a beni e bisogni primari come cibo, carburante e costi di trasporto, che nel primo trimestre 2023 rappresentano il 35% di tutte le transazioni effettuate dalle aziende. Tuttavia, tra il 2022 e il 2023, si registra un aumento del 18% su base annua del numero medio di transazioni effettuate per i servizi online, come abbonamenti online, soluzioni cloud, strumenti per la gestione delle password online, software di editing, piattaforme pubblicitarie online, come Adobe, Amazon Web Service o annunci Facebook.
L’aumento più elevato delle transazioni per servizi online è stato registrato dalle Pmi e dai liberi professionisti italiani (+22%). Complessivamente, i beni primari e i servizi online costituiscono il 44% dei pagamenti realizzati in Italia.

TikTok è la piattaforma di social media marketing più utilizzata

Le Pmi e i liberi professionisti europei si affidano sempre più ai social media e alle piattaforme digitali per le loro strategie di comunicazione e marketing.
Se la maggior parte delle aziende utilizza Google, Meta e Twitter, a partire dal 2022 il numero medio di transazioni per organizzazione mostra un aumento significativo dell’utilizzo di TikTok da parte di Pmi e liberi professionisti, che spendono più frequentemente su TikTok che sugli altri canali.
In Francia e in Italia, le transazioni su TikTok rappresentano rispettivamente il 70% di tutte le transazioni effettuate su tali canali digitali. Gli importi medi spesi, tuttavia, non superano quelli dedicati agli altri canali.

Podcast, passione italiana: 16,4 milioni di persone li ascoltano

Quali sono i nuovi amici degli italiani? I podcast, che si stanno rivelando dei compagni fedelissimi del tempo libero e non solo. Negli ultimi 12 mesi, ben 16,4 milioni di persone li hanno ascoltati, registrando una crescita costante anno dopo anno. Se si confrontano i dati del 2023 con quelli del 2022, si nota un aumento di un milione di ascoltatori (+7%), mentre nel corso di cinque anni la crescita raggiunge addirittura il 59%. Nel 2018, infatti, gli appassionati di podcast erano “solo” 10,3 milioni. Questi sono i risultati dell’ultima ricerca condotta da NielsenIQ (NIQ) per Audible, l’azienda di produzione e distribuzione di contenuti audio di proprietà di Amazon. 

Un terzo degli italiani ha ascoltato un audiolibro o un podcast

“Siamo stati i pionieri dell’audio entertainment in Italia e la crescita impressionante di questa industry in questi sette anni ci riempie di soddisfazione: quasi un italiano su tre ha ascoltato un podcast o un audiolibro nell’ultimo anno. Stiamo parlando di quasi 17 milioni di persone con un incremento del 4% rispetto al 2022”. E’ il commento di Juan Baixeras, country manager Spain and Italy di Audible. “Questi dati mostrano come per gli appassionati l’ascolto di contenuti audio sia diventato un’abitudine e parte integrante della propria dieta mediatica. Non solo: il forte investimento che stiamo facendo sul catalogo e la collaborazione costante e di assoluto valore con la comunità creativa italiana apre allo sviluppo di nuovi contenuti con produzioni di altissima qualità e voci e suoni totalmente immersivi”

Aumenta anche la frequenza di ascolto

Un altro dato che conferma la crescente passione degli italiani per i podcast è l’aumento della frequenza di ascolto. Più della metà dei partecipanti all’indagine (53%, 10 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente) li ascolta almeno una volta al mese, mentre cresce significativamente anche il numero di persone che li ascolta almeno una volta alla settimana (36% dei partecipanti, +12 punti percentuali rispetto al 2022). 

I principali fan? I giovani

Le persone che ascoltano podcast sono principalmente giovani o giovanissime (le fasce d’età più coinvolte sono tra i 18 e i 24 anni e tra i 25 e i 34 anni) e estremamente connesse. Tuttavia, i podcast stanno conquistando anche le fasce d’età più mature, con un significativo aumento delle persone oltre i 55 anni che li ascoltano rispetto al 2022 (+8%). Inoltre, i podcast si rivelano un fenomeno che unisce le generazioni: il 40% dei genitori intervistati ha figli che ascoltano questo formato audio.

A casa è meglio

Che vengano ascoltati a casa (luogo preferito dal 75% dei partecipanti) o in movimento, il principale vantaggio riconosciuto ai podcast è la possibilità di ascoltarli in modalità multitasking, mentre si svolgono altre attività (per il 59% dei partecipanti), principalmente per intrattenimento, ma anche per imparare e come valido supporto allo studio. Inoltre, il 39% li trova utili per scegliere gli argomenti e le notizie che desiderano approfondire, senza dover seguire il ciclo mediatico tradizionale. Inoltre, sta crescendo (+5 punti percentuali rispetto al 2022) l’interesse per i podcast sulle tematiche sociali.

L’enoturismo accelera: crescono le cantine e si amplia l’offerta 

Un turismo che accelera, quello legato al vino, con l’aumento nel numero e nelle tipologie delle esperienze offerte ai viaggiatori eno-appassionati. Infatti, dal 3 aprile di 30 anni fa, quando a Verona nasceva la prima associazione sull’enoturismo, le cantine turistiche del Movimento Turismo del Vino sono triplicate, arrivando a 265, e hanno diversificato l’offerta. Determinante è stato il ruolo delle Donne del Vino e dei 145 comuni delle Città del Vino affiliati al Movimento, che per celebrare l’anniversario del Movimento hanno presentato a Vinitaly l’indagine a cura di Nomisma – Wine Monitor. Un’indagine che va a costituire un Osservatorio sul turismo del vino e attesta i dati di crescita del comparto. Ma anche qualche criticità.

La wine hospitality delle Donne del Vino

Benché le cantine turistiche italiane siano dirette soprattutto da uomini (55%), il management della wine hospitality è soprattutto femminile (73%). La wine hospitality delle Donne del Vino si differenzia per una maggiore diversificazione dell’offerta. Non solo vino, quindi, ma anche attività legate al benessere, alla ristorazione (28%) e ai corsi di cucina (40%), alla ricettività (36%), allo sport (piscine 15%) e all’organizzazione di visite a luoghi limitrofi o di collegamento a eventi culturali (50%). In altre parole, le donne stanno efficacemente trasformando l’attrattiva vino in una proposta di soggiorno con attività legate all’arricchimento culturale e alla rigenerazione, che ha origine nella natura.

L’identikit delle cantine turistiche italiane

La tipologia di cantina turistica più diffusa in Italia è quella piccola e familiare (39%), particolarmente presente in Campania, Puglia e Umbria. Seguono le cantine con rilevanza storica o architettonica (14%), più presenti in Veneto e in Piemonte, mentre le imprese con marchio famoso o storico sono il 12% del totale, particolarmente diffuse in Veneto e Sicilia. Piemonte, Toscana, Friuli e Sicilia si caratterizzano invece per imprese del vino con particolari bellezze paesaggistiche e naturalistiche (11%). mentre in Puglia e in Umbria è più alta la quota di cantine organizzate per l’incoming.

Parola d’ordine dei Comuni: fare sempre più rete

L’indagine evidenzia però due elementi critici: il 44% delle cantine sono lontane dai circuiti turistici o enoturistici, soprattutto in Friuli Venezia Giulia, Umbria e Campania. Inoltre, la metà delle cantine chiude al pubblico nel fine settimana e nei giorni festivi. Chiusura che riguarda anche molti uffici turistici, costituendo un problema rispetto ai flussi dei visitatori, più concentrati nei giorni di festa.
Come e cosa possono migliorare i Comuni per favorire l’enoturismo? Anzitutto potenziare gli uffici di informazione turistica e la loro apertura nei giorni festivi, poi sostenere la formazione del personale, anche degli uffici pubblici, in materia enoturistica. Inoltre, favorire la dotazione di strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale. E promuovere una maggiore condivisione delle collaborazioni per ‘fare sempre più rete’.