Pasqua: uovo di cioccolato o colomba?

Nella ‘sfida’ tra uova di cioccolato e colomba quale è il dolce più amato dai consumatori del Bel Paese? A Pasqua gli italiani comprano i dolci tipici della tradizione per festeggiare con golosità le feste, un’abitudine consolidata. E secondo Everli, il marketplace della spesa online, lo scorso anno si è registrato un aumento di spesa a doppia cifra per l’acquisto di uova di cioccolato (66%) e di colombe (29%), decretando come vincitore indiscusso l’uovo. Nonostante in Italia si acquistino un maggior numero di colombe pasquali (+4,6% rispetto alle uova), si spende di più in uova di Pasqua (+86%). E Taranto è al primo posto nello per la spesa in uova di cioccolato e al secondo per le colombe pasquali.

Cioccolato al latte, gianduia o fondente?

Puglia e Toscana sono le regioni in cui si spende di più per l’acquisto di uova di cioccolato, ognuna con due province nella top 10 delle località che hanno speso maggiormente online per questa categoria, Taranto (1°) e Bari (2°), Lucca (6°) e Grosseto (7°). Ma che tipologia di cioccolato preferiscono gli italiani? Non ci sono dubbi: 9 delle 10 città in cui si spende di più per l’acquisto di uova come prima preferenza scelgono il cioccolato al latte. Solo a Taranto vince il gianduia, ricetta che guadagna il secondo gradino del podio anche a Bari. Anche se le uova di cioccolato al latte sono le più apprezzate compaiono anche uova al fondente o fondente extra, in particolare a Roma, L’Aquila, Gorizia, Cagliari, Grosseto e Rimini, mentre il cioccolato bianco si intravede solo nei carrelli di Cagliari, Grosseto e Roma.

La colomba vince in Lombardia

Tra gli italiani che scelgono la colomba la preferita è quella classica, ma c’è spazio anche per le versioni con glasse e creme sfiziose In base ai dati di Everli, le colombe riscontrano successo soprattutto in Lombardia, regione che vanta due località all’interno della top 10 delle province italiane dove si spende di più per l’acquisto di tale prodotto: Cremona (8°) e Mantova (10°). Inoltre, paragonando le spese effettuate nel 2021 rispetto al 2020, si registrano impennate di acquisti per le colombe pasquali a Rovigo, dove la spesa è aumentata di 11 volte, a Trieste e a Ravenna, dove la spesa per questo prodotto è più che raddoppiata (rispettivamente + 157% e +114%).

La colomba ideale? Classica, ma anche con ricette alternative

Ma come deve essere per gli italiani la colomba ideale? Guardando alla top 10 delle province italiane che apprezzano di più questo dolce, il ‘voto’ non è unanime. Benché ci sia preferenza per la versione classica (vince in 4 città su 10) o veronese (amata solo a Mantova), fanno capolino anche ricette ‘alternative’ e particolarmente golose, dalla colomba arricchita con crema di limoncello (Cagliari), di crema chantilly (Pisa) o con gocce di cioccolato (Taranto), fino a quella senza canditi, che appare nei carrelli di Palermo e Rovigo.

Cosa fare dopo il diploma: laurea o lavoro?

La Generazione Z sembra non volersi rassegnare a ingrossare le file dei cosiddetti NEET, i giovani che non studiano e non lavorano. Sebbene la carriera universitaria resti il percorso principale per uno studente su 2, uno su 10 è orientato verso i corsi professionali non universitari, uno su 5 punta a cercare lavoro, mentre uno su 10 si rifugia nella prospettiva di andare all’estero. La voglia di mettersi in gioco fin dai banchi di scuola è un elemento molto presente. Infatti, quasi la metà (45%) dei ragazzi intercettati dall’indagine Dopo il diploma, condotta da Skuola.net su un campione di 3mila alunni delle scuole superiori, mostra l’impegno nel fare qualche ‘lavoretto’: il 26% lo fa nei periodi di pausa dalla didattica, e il 19% anche durante i mesi di scuola.

Quasi la metà è ancora disorientato

Complice anche il periodo storico, resta però un diffuso senso di spaesamento: quasi la metà degli studenti intervistati (45%) ammette di essere ancora disorientato su cosa fare dopo la scuola. E uno studente su 5 immagina che i mesi successivi al diploma saranno dedicati alla riflessione sul futuro o a un anno sabbatico. Di fatto, negli ultimi tempi l’obiettivo laurea sembra registrare un calo di appeal. Se è vero che rimane la strada maestra per la metà degli studenti delle superiori, la flessione è sensibile: rispetto allo scorso anno l’11% di studenti in meno è intenzionato a considerare solo ed esclusivamente l’opzione università. D’altronde, quest’anno, per la prima volta i licei hanno registrato una flessione delle iscrizioni rispetto a dodici mesi fa. Un fatto storico che non avveniva da un decennio.  

“Lavoretti” digitali mentre si studia

Per quanto riguarda chi già dedica un po’ di tempo al lavoro, oltre alle mansioni più conosciute, come camerieri, fattorini, baby-sitter, uno su 7 punta su lavori digitali, sfruttando le occasioni fornite dal web e dalle nuove tecnologie informatiche. Ma nel Paese dove il posto fisso è uno degli obiettivi principali dei genitori per i propri figli, un ragazzo su 4 vorrebbe al contrario costruire qualcosa di suo. Il 23%, pur non osando aspirare a tanto, si immagina da grande come un lavoratore autonomo per avere più libertà, e solamente il 20% aspira ancora alla sicurezza del “tempo indeterminato”.
Tuttavia, non tutti hanno pensato al proprio futuro professionale: il 32% degli intervistati ancora non l’ha fatto, a differenza degli aspiranti capitani d’azienda, la maggior parte dei quali (59%) pensa di avere già in mano l’idea vincente. E uno su 10 sta già sviluppando la sua impresa insieme a un team.

Uno su 5 punta ad avere presto un’occupazione

Anche la complicata relazione tra formazione e mondo del lavoro sembra stia iniziando a cambiare. Circa uno su 5, subito dopo il diploma, punta proprio ad avere presto un’occupazione: l’8% immettendosi direttamente nel mercato del lavoro, il 10% seguendo un corso, ITS o similare, che permetta di specializzarsi ma accorciando il tragitto che porta dai banchi di scuola al lavoro.
E tra quanti hanno invece in programma di andare all’università, una quota simile, il 19%, che tra i maschi sale fino al 26%, cambierebbe idea se venisse a conoscenza di un percorso alternativo capace di garantire ampie possibilità di collocamento e opportunità di carriera. Non mancano poi quelli che sarebbero interessati a entrare nelle forze armate o di polizia (7%). 

Benefit aziendali, importanti (quasi) come lo stipendio

Quali sono i benefit più richiesti dai lavoratori? Dando ormai per assodato, come avviene ormai da qualche anno, che il solo stipendio abbia perso la centralità assoluta nella scelta di entrare o rimanere in un’azienda, è interessante scoprire come i dipendenti vivano tutti gli “extra” collegati al loro lavoro. I cosiddetti benefit che sanno dare valore al dipendente e fidelizzarlo nei confronti dell’azienda per cui lavora. Ta i “vantaggi” preferiti ci sono infatti la possibilità di formazione, la possibilità di carriera interna nonché la presenza di concreti benefici per i lavoratori. In particolare, nel 2022 i lavoratori sono particolarmente sensibili alla possibilità di poter continuare a lavorare in regime di smart working, alternando lavoro in presenza e lavoro da remoto.

“Durante la pandemia abbiamo conosciuto i vantaggi del lavoro agile, e sono molti i professionisti che compiono la scelta della migliore azienda i cui lavorare anche in base a questo fattore”, spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

Cresce l’attenzione ai benefit

“Noi head hunter abbiamo notato un progressivo aumentare dell’attenzione nei confronti dei benefit, la cui presenza rende molto più appetibile un posto di lavoro agli occhi dei candidati. E non stupisce quindi che sempre più aziende stiano raddoppiando l’impegno verso il welfare, per migliorare l’employer branding come peraltro la talent retention”, precisa ancora Carola Adami.

I lavoratori si aspettano un ampliamento dei programmi 

La maggior parte dei lavoratori attende un prossimo ampliamento del programma di benefit in azienda, secondo alla società di consulenza americana Forrester, per cui la pensa così il 79% dei dipendenti. Guardando ai dati di un ricerca condotta da Harris Interactive per Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, sul podio dei benefit si trovano i premi immediati, indicati dal 36% degli intervistati, seguiti dai buoni pasto per il 30%, e dai bonus a lungo termine per il 24%, che superano di poco l’assicurazione medica (23%) e la mensa aziendale (23%).
“Offrire una nutrita gamma di benefit ai propri dipendenti è una scelta vantaggiosa per qualsiasi tipo di azienda. Così si rende  più facile sia l’attrazione di nuovi talenti da assumere, sia la riduzione del tasso di turn over, per mantenere in azienda conoscenze e competenze”, conclude la Adami. Difatti come ha svelato un’indagine Censis ben l’82,3%, dei lavoratori italiani è convinto di “meritare di più” a livello lavorativo. 

Il fenomeno degli hater è in crescita. Colpa del web

Negli ultimi due anni segnati dalla pandemia e da rapporti sempre più online ci si ‘nasconde’ dietro la tastiera del computer per esprimere opinioni che in una vita più reale non avremmo espresso con la medesima violenza. Di fatto sta crescendo il fenomeno degli hater, con quasi 3 italiani su 4 che non perdonano abbastanza, incentivando anche in modo inconsapevole il cosiddetto odio sociale. A quanto emerge da un nuovo studio di Trustpilot una fetta importante della responsabilità è attribuita ai canali online, attraverso i quali ci si maschera più facilmente arrivando a scrivere cose che nella vita reale non si direbbero.

La responsabilità è della pandemia, della digitalizzazione e dei social

L’analisi ha coinvolto un campione di 12.000 adulti dai 18 anni in su tra Italia, Uk, Stati Uniti, Australia, Paesi Bassi e Francia.Per il 39% del campione ‘i limitati contatti faccia a faccia degli ultimi due anni’ e ‘l’aumento della comunicazione online’ hanno favorito un aggravarsi del fenomeno. Solo il 35% degli intervistati ha invece ritenuto che ‘la responsabilità è imputabile ai social media’. Quasi un terzo del campione, infatti, ha rivelato di essere più impulsivo quando pubblica messaggi, commenti o recensioni su internet rispetto a quanto farebbe di persona.

Internet provoca un eccesso di aggressività nelle comunicazioni

E sono soprattutto i più giovani a percepire la responsabilità di internet in questo eccesso di aggressività nelle comunicazioni. Infatti, tra i ragazzi dai 18 ai 24 anni è il 41% a ritenere che le interazioni online negli ultimi anni abbiano favorito l’odio sociale. Diversamente, sono le fasce di età intermedia a ritenere particolarmente responsabili del fenomeno i social media. Infatti, nella fascia dai 35 ai 44 anni a pensarlo è il 38%.

Fermarsi prima di ferire il proprio interlocutore

Le fasce più giovani, inoltre, sono quelle che ammettono di essere più supponenti online di quanto sarebbero di persona, riporta Adnkronos. Lo afferma il 35% dei ragazzi tra i 18 ed il 24 anni, e il 36% di quelli dai 25 ai 34 anni. Nelle fasce d’età successiva il dato decresce drasticamente, tanto che dai 55 anni in su è meno del 20% del campione a dichiararsi più supponente online. L’indagine è parte della nuova campagna Helping Hands di Trustpilot, che mira a ricordare sia ai consumatori sia alle aziende che a volte prima di comportarsi con impulsività è il caso di fermarsi, prendersi un attimo di pausa e incentivare solo conversazioni costruttive. E non cercando di ferire a ogni costo il proprio interlocutore. 

Economia circolare: le imprese devono impegnarsi di più

Contrariamente al modello economico lineare l’economia circolare è rigenerativa, e mira a separare gradualmente la crescita dal consumo di risorse finite. Per i consumatori questo significa comprare prodotti durevoli, riciclabili o fatti con materiali riciclati, e utilizzarli a lungo attraverso manutenzioni e riparazioni efficaci. Per le aziende significa invece sviluppare prodotti e modelli di business che non producano rifiuti, ridurre l’uso di materie prime e prevedere la restituzione o il recupero di prodotti e imballaggi. Insomma, le aziende devono adottare modelli di economia circolare per soddisfare le richieste dei consumatori e mitigare i rischi futuri legati alla supply chain.

I consumatori vorrebbero adottare pratiche virtuose

Con l’aumento della consapevolezza sul tema dei rifiuti e dell’esaurimento delle risorse cresce il desiderio da parte dei consumatori di adottare pratiche di consumo consapevole. Secondo il del Capgemini Research Institute, ‘Circular economy for a sustainable future: How organizations can empower consumers and transition to a circular economy’, il 54% dei consumatori vuole adottare pratiche come ridurre i consumi complessivi, acquistare prodotti più durevoli (72%) e conservare e riparare i prodotti per aumentarne la durata (70%).  Tuttavia, quasi il 50% è convinto che le organizzazioni non stiano facendo abbastanza, mentre il 67% si aspetta che le organizzazioni siano maggiormente responsabili quando pubblicizzano i prodotti, senza incoraggiarne un consumo eccessivo.

Le scelte sono limitate da praticità, accessibilità e costo

Le organizzazioni faticano però a intraprendere azioni concrete legate a pratiche di economia circolare, malgrado i consumatori si rivolgano sempre di più a quelle che lo fanno. Questo accade in particolare in ambiti dove la consapevolezza dei consumatori è maggiore, come i rifiuti alimentari e quelli di plastica. Il 44% dei consumatori ha infatti aumentato la propria spesa negli ultimi 12 mesi verso aziende alimentari che si impegnano nel riciclo, nel riutilizzo e nella riduzione dei rifiuti, ma in generale i consumatori sono limitati nelle loro scelte da questioni di praticità, accessibilità e costo.

L’e-commerce non è ‘circolare’

Tra i motivi che impediscono di intraprendere azioni circolari positive il 60% dei consumatori cita la mancanza di informazioni sufficienti sulle etichette dei prodotti, per il 55% i costi elevati sono un ostacolo alla riparazione dei prodotti, e il 53% non vuole scendere a compromessi sulla comodità. Questa, riporta Adnkronos, è una conseguenza del boom dell’e-commerce degli ultimi 10 anni, che ha alzato gli standard offrendo servizi convenienti a basso costo, come la consegna il giorno successivo o addirittura il giorno stesso. Nonostante gli sforzi normativi per estendere la durata di vita dei prodotti, attualmente gli approcci di consumo circolare si concentrano principalmente sulla fase post-utilizzo, con il 58% dei consumatori che dichiara di separare e smaltire i rifiuti alimentari dopo l’uso, ma solo il 41% di comprare cibo con un imballaggio minimo, sottolineando la scarsità di opzioni disponibili.

TV, picco di vendite con lo switch off

Il 20 ottobre è iniziato il processo che in qualche modo cambierà la televisione così come l’abbiamo conosciuta. Ha infatti preso il via il celebre switch off, ovvero il passaggio che prevede che tutti i canali nazionali migrino verso la codifica MPEG4 (ma anche DVBT-2/HEVC). Questa transizione dovrebbe concludersi entro i prossimi sei mesi e, senza un apparecchio o un decoder adeguato, non sarà possibile più vedere diverse trasmissioni. Al momenti i canali coinvolti sono 15, distribuiti fra Rai e Mediaset. 

L’effetto del bonus rottamazione TV

Per far sì che tutti possano disporre di un apparecchio televisivo in grado di ricevere i canali anche dopo i cambiamenti, il Governo ha messo in campo l’ormai famoso Bonus Rottamazione Tv. Si tratta di un incentivo destinato all’acquisto di nuovi apparecchi televisivi e decoder in vista del passaggio ai nuovi standard di trasmissione. In base alle stime, si crede che siano circa 10 milioni le famiglie ad aver necessità di un upgrade ai propri apparecchi. Le facilitazioni sono due: se l’Isee è al di sotto dei 20mila euro sarà possibile avere uno sconto di 30 euro per l’acquisto di un decoder o un televisore; non ci sono invece limiti di reddito in caso di rottamazione, che dà diritto a uno sconto del 20% sul costo del nuovo apparecchio fino a un massimo di 100 euro. Il bonus si può ricevere sino alla fine del 2022 o fino a esaurimento risorse.

Boom delle vendite di TV

Secondo le rilevazioni GfK Market Intelligence  in particolare l’incentivo rottamazione ha avuto un effetto immediato sulle vendite nelle prime settimane di introduzione, un trend che continua ancora. “Nella settimana 41 – quella compresa tra l’11 e il 17 ottobre 2021 – sono stati venduti oltre 217.000 televisori, con una crescita pari al +120% di unità rispetto alla stessa settimana del 2020. Il trend è decisamente positivo anche se si confronta il dato della settimana analizzata con la settimana precedente: in questo caso la crescita è stata pari al +16%” si legge nel report. “Se analizziamo il trend a valore, riscontriamo una crescita ancor più marcata, pari al +152% rispetto alla settimana 41 del 2020. Questo forte incremento è dovuto a due fattori: da un lato la domanda superiore all’offerta – legata anche alle problematiche di approvvigionamento dei produttori – dall’altro l’aumento dei costi delle materie prime e della logistica, che hanno contribuito alla crescita del prezzo medio dei TV rispetto al 2020 (+26% complessivamente da inizio anno)”.

Podcast, il protagonista del mercato dei digital audio

Come è composto il mercato del Digital Audio nel nostro Paese? Quali sono i format preferiti e chi gli utenti? E con quale modalità si ascolta il contenuto prescelto? A queste e a molte altre domande risponde il terzo  Ipsos Digital Audio Survey 2021 condotto dall’omonima società di ricerche di mercato. In prima battuta, ciò che emerge è che anche quest’anno – come nelle precedenti edizioni – è il podcast a rivestire il ruolo da protagonista fra tutti i contenuti audio digitali. Ciò probabilmente perché – e questa è l’informazione più preziosa per gli editori e i produttori di contenuti – offrono un’esperienza di fruizione attenta, coinvolta, immersiva, sicura. Consentono lo sviluppo di audience investite che in prospettiva, se adeguatamente stimolate e soddisfatte, potranno credibilmente diventare oggetto di proposte a pagamento. Insomma, le potenzialità sono immense sia sotto il profilo della diffusione sia del ritorno economico.

Gli ultimi dati sono in crescita

Il dato monitorato dall’indagine, l’ascolto dei podcast nell’ultimo mese, raggiunge nel 2021 quota 31% tra i 16-60enni (circa 9,3 milioni di persone), con una crescita lieve ma che consolida la tendenza positiva registrata lo scorso anno (nel 2020 i podcast avevano visto un balzo di ben 4 punti percentuali, passando dal 26% al 30%): una riprova del fatto che la diffusione del format è un frutto stabile e non transitorio del processo di digitalizzazione avvenuto durante la pandemia. Il format resta marcatamente giovane (44% di under 35), ma nel 2021 crescono anche i target adulti, laureati (27%) e professionisti (13%). 

Dove e come si ascoltano i contenuti

La ricerca evidenzia anche le varie modalità di fruizione e i luoghi in cui si ascoltano maggiormente i podcast. Si scopre così che lo smartphone è il dispositivo più usato per ascoltare podcast (79%), il computer (43%) resta al secondo posto, ma in calo, così come i tablet (26%). Il luogo elettivo di ascolto rimane decisamente la casa (81%), seguita a distanza dalla macchina (29%) e dall’ascolto in strada/camminando (23%), mentre la fruizione sui mezzi di trasporto (19%) è ancora in calo (coinvolgeva il 26% degli utenti nel 2019), probabile frutto dell’impatto della pandemia sulla mobilità. L’80% dei fruitori afferma di sentire i podcast mentre svolge in contemporanea anche un’altra attività (80%), e le piattaforme più utilizzate sono Spotify e Youtube.

Podcast e influencer

La terza edizione della Ipsos Digital Audio Survey indaga il ruolo specifico degli influencer, che risultano avere influenza nel promuovere l’ascolto dei podcast per 2 ascoltatori su 3, con un peso particolarmente forte tra i più giovani (74% degli under 35 vs. 54% dei 45+). Si conferma il forte livello di engagement riscontrato nel 2021, con il 59% degli utenti che ascolta podcast per l’intera durata, e continua a crescere l’ascolto per intero delle serie di podcast (41%).

Moda, sempre più green e sostenibile

La moda diventa sempre più green e sostenibile. Se la pandemia da Covid-19 e la preoccupazione relativa al cambiamento climatico hanno stimolato le aziende italiane del settore a riclassificare le proprie priorità, l’89% delle aziende ora investe in sostenibilità, il 45% in più rispetto al 2020. Anche i consumatori hanno sviluppato maggiore sensibilità al tema della sostenibilità, ad esempio con la domanda di capi second hand, aumentata del 45% nel periodo compreso tra novembre 2019 e febbraio 2020. È quanto emerge dal report su Moda e Sostenibilità di Cikis, società che aiuta le aziende della moda ad attuare strategie e piani operativi sostenibili.

Il mercato richiede investimenti concreti in sostenibilità

Più in particolare, Cikis ha intervistato 47 brand e 53 aziende della filiera. Si tratta di aziende che dichiarano un fatturato superiore a un milione di euro, quelle che più probabilmente dispongono delle risorse economiche necessarie per poter effettuare investimenti concreti in sostenibilità. Di fatto, la crescita degli investimenti nell’ambito della sostenibilità si deve soprattutto all’aumento di richieste da parte del mercato. Benché gli investimenti che denotano maggiore consapevolezza siano ancora pochi, il 53% delle aziende dichiara di investire in sostenibilità per ragioni di competitività, e circa il 20% per rispondere alle richieste dei consumatori.

Aumentano del 150% le aziende che puntano sugli aspetti sociali

“Inoltre, dalla nostra analisi emerge che alcune aziende, circa il 20%, sottovalutano il proprio impegno, mentre altre, il 25%, lo sopravvalutano, rischiando di incorrere nel cosiddetto fenomeno del greenwashing”, continua Moro.
Quello ambientale non è tuttavia l’unico aspetto rilevante. In seguito all’emergenza Covid-19 la tutela delle persone e il welfare aziendale sono diventati requisiti sempre più richiesti da parte dei consumatori. E rispetto all’anno scorso le aziende che stanno lavorando su aspetti sociali sono aumentate del 150%. In ogni caso, le aziende che si avvalgono di un esperto esterno per diventare più sostenibili riescono a raggiungere livelli elevati di sostenibilità con maggiore facilità. E a posteriori, percepiscono meno il problema dei costi.

Non basta cambiare packaging e strategia di comunicazione

Il Report di Cikis evidenzia diversi livelli di impegno in sostenibilità, in base al numero delle pratiche intraprese e alla loro rilevanza.
 “Il cambiamento di packaging e di comunicazione, ad esempio, se non associato ad altre misure, ha scarso peso sull’impatto ambientale complessivo – spiega Serena Moro, Founder di Cikis -. Rispetto al 2020, quando molte aziende citavano come pratica di sostenibilità implementata l’esclusiva sostituzione del packaging con alternative più sostenibili, quest’anno nessuna azienda ha dichiarato di aver implementato esclusivamente questa misura”.

Il caffè fa bene alle prestazioni atletiche

Con il ricordo ancora fresco delle Olimpiadi di Tokyo, così positive per gli Azzurri, scatta ancora di più la voglia di impegnarsi nello sport. In questo contesto, c’è una buona notizia per tutti gli sportivi amanti anche del caffè: secondo i risultati emersi da una meta-analisi di 21 studi, la caffeina può avere un effetto favorevole sulla resistenza muscolare soprattutto nell’attività aerobica. 

Il ruolo positivo della “tazzina”

A confermare i superpoteri del caffè è una recente ricerca segnalata da ISIC (Institute for Scientific Information on Coffee). Lo studio rivela che sulla base delle ultime evidenze scientifiche ci sono nuove conferme circa il ruolo positivo del caffè, grazie alla bioattività della caffeina, sulle prestazioni atletiche. Lo spunto arriva da un’ampia meta-analisi di 21 studi pubblicata sul British Journal of Sports Medicine, secondo cui la caffeina può apportare molteplici benefici a livello sportivo. In particolare, può migliorare la resistenza muscolare e sembrerebbe avere un effetto positivo maggiore sulle attività aerobiche rispetto a quelle anaerobiche.

Migliorano le prestazioni

“Quando si parla di caffè e della caffeina, i risultati sono chiari in relazione agli sportivi: la caffeina può contribuire a migliorare le prestazioni. Molti studi dimostrano che gli atleti che consumano caffeina prima di una gara o di un evento sportivo sono in grado di andare più veloci, durare più a lungo e recuperare più rapidamente rispetto a chi non ha questa spinta in più. Ciò vale soprattutto nelle attività di resistenza, come la corsa a lunga distanza” ha confermato il dottor J.W. Langer, esperto in nutrizione e docente di farmacologia medica presso l’Università di Copenaghen.

Le performance che beneficiano degli effetti del caffè

Qualche esempio sul campo? Diversi studi, tra cui uno concentrato sugli esercizi di resistenza e sul salto e uno focalizzato su una cronometro ciclistica di 5 km, hanno evidenziato come la caffeina apporti miglioramenti nell’attività sportiva sia nei consumatori abituali, sia in quelli sporadici. Ancora, un’altra ricerca ha rilevato che il caffè aiuta nella corsa: una tazza di caffè prima di una corsa di 1,6 km può migliorare i tempi nei corridori maschi fino al 2%. Gli atleti che avevano bevuto del caffè con caffeina, infatti, hanno corso circa 4 secondi più velocemente rispetto a chi aveva assunto caffè decaffeinato, staccando invece di 5 secondi chi aveva consumato il placebo. Per non parlare poi del surplus fornito ai calciatori: la caffeina, assunta dai 5 ai 60 minuti prima dell’allenamento, potrebbe produrre importanti benefici nei giocatori, in particolare nel salto, nello sprint e nella distanza.

Vacanze 2019, i trend e le destinazioni top

Le prenotazioni dei viaggi organizzati crescono tra il 5% e il 10% rispetto al 2018. E le mete preferite sono i soggiorni balneari, nel Sud Italia, Nord Africa e Oceano Indiano. Per i viaggi culturali, invece, Giappone, Stati Uniti e Nord Europa sono le mete top dell’estate 2019. E anche quest’anno in Italia i soggiorni mare premiano per l’ennesima volta Sardegna, Sicilia, Puglia e Calabria. Piacciono però anche le città, come Venezia, Firenze, Roma.

Dall’Osservatorio Astoi Confindustria Viaggi, emergono le preferenze degli italiani e le tendenze per queste vacanze 2019. Vacanze che non sono più lunghe come un tempo, ma che in estate vanno dai classici 7 giorni ai 13 giorni al massimo.

In Europa si scelgono Bulgaria, Russia e Serbia. Ripartono Turchia e Tunisia

In Europa hanno invece ottenuto grande consenso i tour in Bulgaria, Russia e Serbia. Bene anche Germania, Irlanda, Gran Bretagna. Il medio raggio ha visto ripartire, dopo alcuni anni di stasi, la Turchia e, dal punto di vista dei soggiorni balneari, la Tunisia. Si riconferma poi l’alta richiesta per il Mar Rosso egiziano, ormai in forte ripresa da oltre un anno, con numeri importanti e un innalzamento di qualità e prezzo medio. La Grecia invece non mostra cambiamenti significativi rispetto alle estati passate, e se la Spagna è sempre richiesta, risulta però in calo rispetto allo scorso anno a causa di prezzi più alti.

Il relax nei mari lontani non è più esclusivamente invernale

Se le crociere muovono tanti passeggeri nel Mediterraneo Orientale, nelle Capitali Baltiche e nel Nord Europa, il lungo raggio conferma l’alta domanda di destinazioni come gli Stati Uniti, tour dei parchi in particolare, e il Giappone. Il relax nei mari lontani poi non è più una tendenza esclusivamente invernale. Agli italiani piace abbronzarsi anche in estate, soprattutto nell’Oceano Indiano, a Zanzibar, in Kenya, Madagascar e Maldive. Ma anche in Oriente, sulle spiagge della Malesia. Buona anche la richiesta di tour di scoperta, abbinati al relax, per mete come il Sud Africa con estensione Mauritius e Seychelles. Le destinazioni in flessione sono invece Messico, Sri Lanka e Caraibi, Repubblica Dominicana esclusa.

Più corte, e più a maggio e ottobre

Un tempo le vacanze estive erano più lunghe, ma oggi gli italiani preferiscono diluire i giorni liberi in più periodi dell’anno. Un altro aspetto riguarda le politiche di prenotazione anticipata (advance booking), che hanno generato alte performance di vendita, in particolare nei primi 3 mesi dell’anno. In linea con i trend europei si riconferma, quindi, anche quest’anno la tendenza di una parte degli italiani ad anticipare le decisioni e l’acquisto della vacanza per garantirsi migliori prezzi e soluzioni di viaggio. Altra tendenza, riporta Askanews, è l’allungamento delle stagioni di spalla, in particolare nei mesi di maggio e ottobre. Questo anche grazie al Mar Rosso, che rappresenta una destinazione con prezzi allettanti e clima ideale anche in questi mesi.