Solo l’11% delle organizzazioni sanitarie italiane utilizza dispositivi aggiornati

Secondo il report Healthcare 2021 di Kaspersky, il sondaggio globale condotto tra i fornitori di servizi sanitari, solo l’11% delle organizzazioni sanitarie italiane utilizza dispositivi medici che eseguono software aggiornati. Le innovazioni tecnologiche giocano da sempre un ruolo fondamentale in campo medico, e durante la pandemia il settore sanitario è stato costretto ad accelerare significativamente l’implementazione di queste innovazioni. Un fenomeno confermato da un recente report di Accenture, che evidenzia l’implementazione di innovazioni tecnologiche da parte dell’81% dei dirigenti di organizzazioni sanitarie.
La maggior parte delle organizzazioni sanitarie italiane utilizzano però sistemi operativi legacy (OS), ormai obsoleti, che le espongono a maggiori vulnerabilità e rischi informatici.

L’utilizzo di dispositivi obsoleti può provocare incidenti informatici

L’utilizzo di dispositivi medici con un sistema operativo legacy è dovuto principalmente a causa di problemi di compatibilità, costi elevati degli aggiornamenti, o per mancanza di conoscenze interne su come eseguire gli aggiornamenti. Utilizzare dispositivi obsoleti però può provocare incidenti informatici: quando gli sviluppatori di software smettono di supportare un sistema interrompono anche il rilascio di eventuali aggiornamenti, che spesso includono patch di sicurezza per le nuove vulnerabilità. Se lasciate senza patch, le vulnerabilità possono diventare un vettore iniziale di attacco per penetrare nell’infrastruttura dell’azienda, di cui anche gli attaccanti non specializzati possono servirsi.

I dati sensibili archiviati sono un obiettivo redditizio

Le organizzazioni sanitarie archiviano un volume notevole di dati sensibili e preziosi che le rendono uno degli obiettivi più redditizi, e i dispositivi senza patch possono facilitare il lavoro degli attaccanti. Interrogati sulle loro capacità di reazione in materia di cybersecurity, solo il 20% degli operatori sanitari italiani crede che la loro organizzazione sia in grado di bloccare efficacemente tutti gli attacchi alla sicurezza o le violazioni del perimetro. La stessa percentuale è certa che la loro organizzazione disponga di una protezione di sicurezza IT hardware e software aggiornata e adeguata. Tuttavia, in Italia il 50% degli intervistati ha ammesso che la loro organizzazione ha già sperimentato incidenti che hanno causato una fuga di dati, il 40% un attacco DDoS mentre il 30% un attacco ransomware.

Aumentare il livello di sicurezza per facilitare il progresso del settore sanitario

“Il settore sanitario si sta evolvendo verso l’adozione di dispositivi connessi in grado di soddisfare la domanda di maggiore accessibilità alle cure – dichiara Cesare D’Angelo, General Manager Italy di Kaspersky -. Questo comporta anche alcune sfide di cybersecurity tipiche dei sistemi embedded. Il nostro report conferma che molte organizzazioni utilizzano ancora dispositivi medici che eseguono vecchi sistemi operativi e si scontrano con alcuni ostacoli che impediscono l’esecuzione degli aggiornamenti necessari. A oggi, esistono soluzioni e misure disponibili che possono aiutare a minimizzare i rischi di una strategia di modernizzazione nella sanità. Queste misure, insieme alla formazione del personale medico, possono aumentare significativamente il livello di sicurezza e facilitare il progresso del settore sanitario”. 

Fatture elettroniche: prorogata al 31 dicembre 2021 la consultazione

Il 1° gennaio 2019 segna la data di avvio dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica. Ma il 30 settembre scorso è scaduto il termine per l’adesione al servizio di consultazione e acquisizione delle e-fatture. Sarebbe quindi terminato il periodo ‘transitorio’ durante il quale gli operatori economici e i loro intermediari delegati hanno potuto consultare, anche in assenza di adesione allo specifico servizio, la totalità delle fatture elettroniche trasmesse al Sistema di Interscambio a decorrere dal 1° gennaio 2019. Un provvedimento firmato dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, proroga però dal 30 settembre al 31 dicembre 2021 la deadline per operare la scelta di adesione al servizio di consultazione e acquisizione delle e-fatture.

Operatori Iva e consumatori finali potranno ancora aderire al servizio

Restano quindi ancora due mesi per scegliere il servizio di consultazione delle e-fatture. Gli operatori Iva e i consumatori finali, infatti, potranno aderire al servizio di consultazione e acquisizione delle proprie fatture elettroniche, continuando così a poter consultare le fatture emesse e ricevute dal 1° gennaio 2019 fino al 31 dicembre 2021.

È possibile accedere a tutte le fatture emesse e ricevute dal 1° gennaio 2019

Per andare incontro alle richieste di operatori economici, associazioni di categoria e ordini professionali, che hanno segnalato le criticità legate all’impossibilità di accedere alle fatture ‘pregresse’, il provvedimento porta quindi dal 30 settembre al 31 dicembre 2021 la deadline per operare la scelta. Inoltre, il provvedimento prevede la possibilità, per chi ha effettuato o effettuerà l’adesione entro il 31 dicembre 2021, di accedere a tutte le fatture emesse e ricevute trasmesse al Sistema di interscambio a partire dal 1° gennaio 2019, e non solo a quelle trasmesse dal giorno successivo all’adesione. Gli operatori Iva possono comunicare l’adesione anche tramite un intermediario appositamente delegato.

Due servizi distinti: conservazione e consultazione 

L’Agenzia mette a disposizione dei contribuenti due diversi servizi, a cui si può accedere previa, e specifica, adesione. Si tratta di due servizi gratuiti, di cui il primo riguarda la conservazione a norma delle fatture elettroniche, secondo quanto disposto dal decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 17 giugno 2014, e il secondo riguarda la consultazione e l’acquisizione delle fatture elettroniche e dei loro duplicati informatici. I due servizi hanno finalità diverse, riporta Adnkronos, e ognuno di essi richiede una specifica adesione. Per evitare di incorrere nelle criticità che sono state rappresentate è fondamentale effettuare l’adesione al servizio di consultazione entro il 31 dicembre 2021. Quanto al periodo di consultazione, quest’ultimo servizio prevede che le fatture elettroniche siano consultabili e scaricabili fino al 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di ricezione da parte del Sistema di interscambio.

Pmi lombarde, 9,8 miliardi in 7 anni per la crescita digitale

Nei prossimi 7 anni la transizione digitale verso le tecnologie di Industria 4.0 per molte Pmi lombarde potrebbe essere a costo zero. Durante questo periodo le imprese lombarde potranno infatti contare su 9,8 miliardi di euro, una cifra corrispondente a 5 volte il totale dei fondi strutturali spesi negli ultimi 7 anni da Regione Lombardia tramite il Fesr e il Fse per ricerca, innovazione, sviluppo, formazione, istruzione e politiche sociali, e politiche attive per il lavoro. È quanto emerge dalla stima effettuata dal Centro studi Cna Lombardia, che ha valutato il combinato disposto di PNRR e dei fondi strutturali di Next Generation Eu. Grazie al Fesr questi copriranno in maniera sinergica sia investimenti in ricerca, tecnologia e macchinari sia, grazie al Fse plus, gli investimenti in capitale umano.

Le risorse daranno origine a due mercati paralleli 

Secondo le stime Cna queste risorse genereranno due mercati paralleli. Da una parte infatti crescerà il bisogno di esperti e consulenti esterni, muovendo un volume d’affari nella sola Lombardia pari al 20% delle risorse, (1,98 miliardi di euro). Dall’altra, si prevede che le imprese investano nella formazione continua, creando un volume d’affari pari al 10% dell’investimento (0,98 miliardi). In questo caso, le risorse del Por Fse regionale non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno di formazione continua del personale, ma le Pmi potranno giocare altre due carte di assoluto rilievo.

Un’intesa per la digitalizzazione delle micro e piccole imprese

Da una parte infatti le Pmi potranno contare sul rifinanziamento del Fondo nuove competenze (il Mise ha assicurato un miliardo di euro su base nazionale), dall’altra, l’accesso alle risorse dei fondi interprofessionali. Proprio in questa direzione si muove l’intesa siglata tra Cna Lombardia, l’ente di formazione Ecipa Lombardia, e il Made, il competence center per l’Industria 4.0, per la definizione e la costruzione di percorsi formativi a favore della digitalizzazione delle micro e piccole imprese.

Strumenti concreti per formarsi e riqualificarsi

L’iniziativa punta a finanziare i percorsi formativi con le risorse di Regione Lombardia destinate al Programma operativo regionale Fse. Le imprese troveranno inoltre risposte formative relative a 5 filoni tematici, come prodotto 4.0 e processo 4.0, manutenzione 4.0, Big Data 4 small business, automazione, robot, cobot e ottimizzazione di processo, transizione sostenibile ed economia circolare.
“La Lombardia rappresenta il 22% del Pil italiano, ma deve mantenere elevato il proprio livello competitivo – commenta Marco Taisch, presidente di Made-competence center industria 4.0 -. Questo accordo con Cna Lombardia ed Ecipa Lombardia mette a disposizione delle imprese strumenti concreti per formarsi e riqualificarsi. La formazione, infatti, è uno dei pilastri della rivoluzione di Industria 4.0: senza il contributo di personale qualificato, le tecnologie non possono dispiegare il loro pieno potenziale”.

Effetto pandemia nel 2020 sulla retribuzione medie annua secondo l’Inps

La pandemia cambia il mondo del lavoro, e in conseguenza dell’ampio ricorso alla cassa integrazione, anche le retribuzioni medie annue risultano profondamente influenzate dalla riduzione delle giornate retribuite dal datore di lavoro. Le vicende del 2020 hanno avuto perciò un impatto dirompente sulle retribuzioni, e condizionano pesantemente l’analisi della dinamica. È uno degli aspetti che emergono dal XX Rapporto annuale Inps. Non si può spiegare altrimenti, spiegano dall’Inps, sia la caduta della retribuzione media annua dei dipendenti, scesa da 24.140 euro nel 2019 a 23.091 euro nel 2020 (-4,3%), corrispondente a una perdita di poco più di 1.000 euro, sia la crescita contemporanea delle retribuzioni medie annue dei dipendenti full year (passate da 32.668 a 36.448 euro, +11,6%) e dei dipendenti part year (passate da 12.698 euro a 14.698 euro, +15,8%).

Fenomeni di selezione settoriale e professionale

Secondo il XX Rapporto annuale Inps si tratta di una dinamica che sottintende fenomeni di selezione settoriale e professionale che hanno ridotto e modificato, rispetto all’anno precedente, la composizione dei dipendenti full year, e specularmente, aumentato e modificato quella dei dipendenti part year. È evidente, dunque, che il risultato complessivo finale di vistosa contrazione della retribuzione media annua è condizionato soprattutto dall’eccezionale modifica nella distribuzione dei dipendenti per continuità di impiego. Questo a causa della consistenza e della diffusione delle sospensioni dal lavoro causate dalla pandemia.

Solo le retribuzioni del settore pubblico evidenziano dinamiche più contenute

Non a caso sono solo le retribuzioni del settore pubblico a evidenziare dinamiche nettamente più contenute, allineate con quanto usualmente si osserva di anno in anno, perché in pratica non ‘viziate’ dalle variazioni straordinarie delle giornate effettivamente lavorate. Analoghe considerazioni, spiega l’Inps, si possono proporre a proposito delle retribuzioni medie giornaliere.
Anche in tal caso hanno influito le dinamiche eccezionali del 2020, con la riduzione, nella composizione della domanda di lavoro effettiva, sia dei contratti part time sia dell’apprendistato e dei contratti a termine.

Aumenta la retribuzione media giornaliera

È per questo motivo, si legge ancora nel XX Rapporto annuale Inps ripreso da Andnkronos, che la retribuzione media giornaliera è aumentata per l’insieme dei dipendenti, passando da 96 euro a 98 euro (+2,8%). Anche l’incremento della retribuzione media dei dipendenti part year, passata da 73 euro a 79 euro (+7,5%) è effetto delle dinamiche già indicate. Rimangono mediamente più stabili, e rispetto al settore privato più alte, le retribuzioni nel settore pubblico.

Il Covid-19 non blocca gli investimenti digitali delle Pmi, e la dinamica è in crescita

Le Pmi continuano a investire nei processi di digitalizzazioni, e nel prossimo biennio lo faranno in misura sempre maggiore. La pandemia da Covid-19 infatti non ha bloccato gli investimenti digitali delle piccole e medie imprese italiane, tanto ce nel biennio 2020-21 un’azienda su due ha adottato almeno una nuova tecnologia. I settori con la maggiore spinta negli investimenti tecnologici sono Chimica-farmaceutica e sistema casa, con rispettivamente il 76% e 63% delle imprese che affermano di avere introdotto un’innovazione. A questi segue la tecnologia, con una quota pari al 60%. È quanto emerge da un’indagine dell’osservatorio Market watch Pmi di Banca Ifis, realizzata tra marzo e aprile 2021 insieme a Format research su un campione rappresentativo di 1.800 imprese italiane.

Aumenta del 6% la quota delle imprese che investiranno entro il 2023

Si tratta di una dinamica in crescita, e la stima dell’osservatorio è di un aumento del 6% per la quota delle Pmi che investiranno entro il 2023. Quanto agli utilizzi individuati per gli investimenti, salgono sul podio dotazione di macchinari (54%), formazione per aumentare le competenze del personale (38%), e infrastruttura digitale (26%). In ogni caso, nel prossimo biennio le aree in cui le aziende prevedono di investire maggiormente sono la digitalizzazione dei processi (34%) e la sostenibilità (32%). Quanto alle risorse, il 56% delle Pmi intervistate ha fatto ricorso all’autofinanziamento, mentre il 35% a finanziamenti bancari, e solo il 7% ha fatto ricorso a sostegni pubblici.

Tecnologie 4.0 più presenti in azienda, soprattutto cyber security, Crm e Cloud

Il ruolo delle tecnologie 4.0 è sempre più cruciale per le Pmi italiane. Il 73% degli intervistati dichiara infatti di utilizzarle già o di volerle adottare nel biennio 2022-2023. Al momento le tecnologie più presenti in azienda sono cyber security (31%), Crm (29%), e Cloud (25%). Segnalati però anche investimenti nell’industrial IoT, nell’internet delle cose (16%), la supply chain management (15%), la stampa 3d e la produzione additiva (8%), i big data e l’intelligenza artificiale (8%).

Le più innovative sono quelle con 50-249 dipendenti

Minori gli investimenti invece per robot collaborativi e interconnessi, riferisce Ansa, segnalati dal 7% degli intervistati nell’ultimo biennio, per la realtà aumentata (5%), e per le nanotecnologie e i materiali intelligenti, con un 1% di investimenti già realizzati, ma con un +6% di crescita prevista nel prossimo biennio. Tuttavia, segnala l’osservatorio, l’innovazione non riguarda nella stessa misura tutte le Pmi. Nelle imprese che contano tra 50 e 249 dipendenti la percentuale raggiunge il 70%, nelle piccole, con 20-49 addetti, il 55%, mentre nelle micro imprese, quelle sotto i 20 dipendenti, è pari al 47%.

Da icona nazionale a piatto globale: la pasta alla conquista del mondo

Buona, sana, “facile” e soprattutto interpretabile in mille e mille modi diversi. Alle tantissime valide ragioni per amare la pasta, nel 2020 e 2021 si è aggiunto l’elemento contingente dei lockdown, che ci hanno spinto a cucinare di più, meglio e con più fantasia. Il risultato, nel mondo, è un grande successo della nostra icona nazionale, trasformata ormai in piatto globale. Numeri alla mano, infatti, in media ogni consumatore mondiale mangia 7,7 kg di pasta, a fronte di una spesa di 16,30 dollari.

Italia in crescita fino al +40% nel 2020

Secondo i dati di Unione Italiana Food nel 2020 in Italia si sono vendute oltre 50 milioni di confezioni in più, con punte di circa il +40% a marzo e +10% tra ottobre e novembre. Ottimi i dati anche in arrivo dall’export. Durante lo scorso anno, infatti, le esportazioni sono cresciute del 16%, superando i 3,1 miliardi di euro. Particolarmente significativo l’incremento degli gli Stati Uniti (+40%) che rappresentano oggi il maggior consumatore mondiale di pasta italiana, dopo aver superato la Francia (+4,3%) e la Germania (+16%). In forte crescita, nonostante la Brexit, anche la Gran Bretagna, con il +19%.

La Cina guida la crescita dei prossimi 4 anni 

Dopo il balzo del 2020, il mercato della pasta dovrebbe proseguire la sua crescita e la Cina, in particolare, dovrebbe guidare la classifica. In base alle previsioni realizzate da Statista, infatti, nel 2021 il maggior mercato mondiale sarà la Cina che, da sola, vale quasi 25 miliardi di dollari. La passione per la pasta non sembra una moda passeggera. Secondo la stessa fonte, le vendite di pasta nel 2021 arriveranno a sfiorare 123 miliardi di dollari (122.925 milioni per l’esattezza) e continueranno a crescere del 2,35% l’anno nei prossimi quattro anni. 

Novità, che passione 

Diretta conseguenza della voglia di sperimentare ai fornelli durante i lockdown è l’aumento delle vendite registrato dai prodotti meno comuni. Tra i successi dell’ultimo periodo ci sono sicuramente gli gnocchi, a partire dalla ricetta classica a base di patate per arrivare a quelli ripieni. In crescita anche il mercato della pasta fresca surgelata, alternativa molto più pratica rispetto alla versione casalinga ed estremamente simile per aspetto, consistenza e sapore alla produzione artigianale. Grande attenzione, infine, al packaging. I consumatori hanno infatti dimostrato di preferire i prodotti confezionati e imballati nel modo più ecologico e sostenibile, per un mondo più buono in tutti i sensi.  

La riscoperta dell’agricoltura nella youth economy

Per i più giovani la sostenibilità ambientale e la lotta al riscaldamento globale rappresentano le priorità nell’agenda italiana del futuro prossimo e l’agricoltura, in particolare, è il settore che prima e meglio degli altri ha interpretato queste urgenze. Sono queste le risposte espresse dalle generazioni più giovani: si esprime così infatti il 60% della GenZ (composta dai 15-24enni), che ritiene che gli agricoltori abbiano operato per rendere la filiera del cibo sostenibile, e il 48% dei Millennial. Lo rivela il il 3° numero dell’Osservatorio del mondo agricolo, dal titolo “La riscoperta dell’agricoltura nella youth economy” realizzata dalla Fondazione Enpaia (l’Ente Nazionale di Previdenza per gli Addetti e per gli Impiegati in Agricoltura) e il Censis. Lo studio fotografa il nuovo rapporto dei giovani con la terra, con la produzione e il consumo del cibo, con l’impresa e il lavoro in agricoltura. E nell’Italia post pandemia sono proprio loro, i Millennial, nati tra metà degli anni Ottanta e metà del decennio successivo e la Generazione Z, nata tra metà degli anni Novanta e metà degli anni Zero, i più pronti a  rilanciare i valori di un’agricoltura sostenibile nel perimetro della youth economy.

Un’opportunità occupazionale

Oltre all’aspetto etico, c’è anche quello riferito alle opportunità lavorative. Per i giovani, infatti, l’agricoltura sostenibile rappresenta un’occasione occupazionale. L’88,7% degli intervistati ha infatti dichiarato che attraverso l’agricoltura sia possibile creare occupazione di qualità, con valori che arrivano all’89,5% tra i giovanissimi della GenZ. Per il 51,7% dei giovani il settore agricolo si rilancerà prima degli altri nel post Covid-19 e per l’82% – è l’l’85% nella GenZ – questa ripresa sarà decisiva in altri ambiti oggi in difficoltà, come il turismo e la filiera del food. 

Giovane è hi-tech, così è l’agricoltura “buona”

Sempre di più l’agricoltura in cui operano i giovani è un’industria caratterizzata da un’alta intensità tecnologica, e le aziende attive in questo comparto  hanno sfruttato tecnologie sempre più sofisticate. Pertanto, è necessario concentrarsi sull’innovazione tecnologica per aiutare lo sviluppo del mondo rurale. Per i giovani, la sostenibilità rimane lo standard a cui fare riferimento per l’eccellenza economica e sociale. Infatti, tenuto conto del Covid-19, il 62,8% degli intervistati presterà maggiore attenzione alla riduzione degli sprechi. Il rapporto tra GenZ (60,7%) e Millennial (63,5%) è simile; il 46,4% farà la raccolta differenziata, mentre il 32,2% acquisterà prodotti locali e a chilometro zero per limitare l’inquinamento. Infine, il 32,1% delle persone eviterà di acquistare prodotti in plastica (43,8% tra la GenZ e 27,9% tra i Millennial).

Le 10 caratteristiche del ceo di successo nel 2021

La pandemia ha introdotto nuovi stili di leadership e nuove modalità per guidare e gestire i team. Ha fatto emergere anche nuove esigenze per le aziende, che devono guardare oltre la crisi con scelte coraggiose e lungimiranti. In questo scenario, Keystone, linea di business di Randstad dedicata alla ricerca e selezione di profili executive, ha stilato il decalogo delle caratteristiche del ceo di successo nel 2021.

“L’esperienza della pandemia, da un lato ha accelerato alcune tendenze in atto da tempo in ambito organizzativo, dall’altro ha portato alla luce alcuni valori quasi inediti nelle aziende – afferma Sandro Sereni, founder e partner di Keystone executive search -. Il ceo di successo oggi è un leader riconosciuto, di comprovate capacità e competenze, che porta risultati con tutto il team, capace di delega e di fiducia, che valorizza il talento e sa apprendere dall’esperienza per guardare lontano”.

Conoscere il business, essere ispiratore e vicino alle persone

Ma quali sono le caratteristiche del ceo di successo nel 2021? Prima di tutto conoscere il business: la condizione imprescindibile per guidare un’azienda.

Oggi non basta più saper muovere le leve finanziarie, ma conoscere a fondo le regole che governano la produzione, la distribuzione e il marketing.

Il ceo deve essere anche ispiratore, coinvolgendo i collaboratori sui valori e la cultura aziendale. E deve essere vicino alle persone. Per essere riconosciuto come un leader, il ceo deve conoscere i suoi collaboratori e parlare il loro stesso linguaggio.

Portare visione, avere uno stile di leadership inclusivo, valorizzare il talento

Il ceo ha il dovere di guardare oltre l’esistente. Nella sfida della pandemia deve affrontare il presente e indirizzare l’azienda nel medio-lungo periodo con uno stile di leadership inclusivo. La sfida della pandemia ha rafforzato il concetto di alleanza per un progetto comune, e oggi il ceo di successo è quello che ottiene risultati grazie al lavoro dei suoi collaboratori, infondendo fiducia e sapendo delegare. E se a fare davvero la differenza è il team, il ceo deve valorizzare il talento che è in ogni persona e far sì che sia realmente messo a disposizione dell’organizzazione. Come? Stimolando la crescita individuale, promuovendo upskilling e reskilling a ogni livello aziendale.

Creatività, benessere, credibilità e sapersi mettersi in discussione

Il ceo deve impegnarsi a promuovere l’imprenditorialità attraverso le idee, la creatività e la passione. Deve anche curare il benessere e la sicurezza delle persone, ed è fondamentale che sia riconosciuto come guida dell’azienda. Questo, grazie a una credibilità fondata su autorevolezza, serietà, affidabilità e coerenza: la reputazione si costruisce nel tempo, tramite l’immagine, il racconto di sé e il curriculum. Una delle soft skills più importante per ogni manager però è la capacità di mettersi in discussione. Nella vita del ceo questo significa dimostrarsi aperto al cambiamento e disponibile ad apprendere nuove conoscenze, attraverso un continuo reskilling nel corso della carriera.

File malevoli per il mobile banking, il livello più alto degli ultimi 18 mesi

Nel primo trimestre del 2020 è stato rilevato un forte aumento nel volume di software malevoli che hanno come obiettivo il furto di credenziali e denaro dagli account bancari online degli utenti. Da gennaio a marzo 2020 sono stati infatti trovati 42.115 file di questo tipo di malware. Secondo il report Kaspersky’s IT threat evolution in Q1 2020, dedicato all’evoluzione delle minacce informatiche nel primo trimestre dell’anno, si tratta di un numero superiore più di due volte e mezzo rispetto a quello registrato nel quarto trimestre del 2019. In particolare, i trojan che operano nel mondo del mobile banking, detti anche banker, sono una minaccia ben nota nella cyber-community, e la motivazione che spinge questo tipo di attività è evidente.

Oltre 42.000 modifiche di varie famiglie di trojan bancari

I banker spesso vengono utilizzati per rubare fondi direttamente dagli account di mobile banking degli utenti. Questi programmi malevoli, di solito, hanno l’aspetto di applicazioni legittime, ma quando una vittima cerca di accedere alla propria app bancaria e di inserire le proprie credenziali di sicurezza gli aggressori riescono a ottenere l’accesso a questo tipo di informazioni private. Nel primo trimestre di quest’anno Kaspersky ha rilevato oltre 42.000 modifiche di varie famiglie di trojan bancari, il numero più alto mai registrato negli ultimi 18 mesi.

Italia al terzo posto dei Paesi più attaccati

“Nell’era del distanziamento sociale e dell’isolamento, utilizziamo sempre più spesso i nostri dispositivi mobili per accedere ai servizi finanziari, per comunicazioni da remoto, per effettuare pagamenti o per procedere con le transazioni”, spiega Victor Chebyshev, esperto di sicurezza di Kaspersky. Pertanto, secondo il report di Kaspersky anche il numero di banker presenti nel panorama di tutte le minacce mobile è aumentato nel corso del trimestre, arrivando al 3,65% e registrando una crescita del 2,1% rispetto a quanto rilevato nell’ultimo trimestre del 2019. Come dimostra il numero di utenti attaccati da trojan del mobile banking, il Paese più colpito al mondo è stato il Giappone (0,57%), seguito dalla Spagna (0,48%). L’Italia si posiziona al terzo posto (0,26%).

Come difendere il cellulare dall’attacco dei cybercriminali

I dispositivi mobile sono diventati uno dei principali strumenti a nostra disposizione, e “non dovremmo permettere ai cybercriminali di trarre alcun vantaggio dalla fiducia che riponiamo in loro”, aggiunge Chebyshev.

Ma come difendersi dall’attacco dei cybercriminali? Per ridurre il rischio che i dispositivi mobili vengano infettati dai trojan bancari, Kaspersky consiglia agli utenti di procedere con l’installazione delle app solo se provengono da fonti affidabili, come ad esempio l’app store ufficiale Google Play. Inoltre è sempre bene utilizzare una soluzione di sicurezza solida, ma soprattutto non eseguire mai la procedura di rooting, perché potrebbe fornire ai criminali informatici possibilità illimitate nell’eventuale sfruttamento di un dispositivo.

Italia medaglia di bronzo Ue per riciclo di imballaggi

L’Italia è sul terzo gradino del podio in Europa per il recupero degli imballaggi. Con un tasso di riciclo pari al 67% si posiziona dopo  Germania (71%) e Spagna (70%). Tra le filiere degli imballaggi molte hanno già superato, o sono a un passo dai nuovi obiettivi previsti a livello europeo per il 2025, mentre i Raee crescono più lentamente. Negli ultimi 10 anni in Italia i rifiuti totali prodotti sono passati da 155 a 164 milioni di tonnellate, e ogni anno dal riciclo l’Italia riceve 12 milioni di tonnellate di materie prime per l’industria nazionale.

Questi alcuni dati dello studio annuale L’Italia del Riciclo, promosso e realizzato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e da Fise Uunicircular, l’Unione Imprese Economia Circolare.

Il tasso di riciclo rispetto all’immesso al consumo è arrivato al 67%

In dici anni i rifiuti totali prodotti rifiuti sono cresciuti del +6%, e il riciclo è cresciuto da 76 a 108 milioni di tonnellate (+42%). I rifiuti di imballaggio hanno visto crescere del 27% l’avvio a riciclo, passando da 6,7 a 8,5 milioni di tonnellate, mentre il tasso di riciclo rispetto all’immesso al consumo è aumentato arrivato al 67%, in linea col dato europeo e con i nuovi obiettivi del 65% al 2025 e del 70% al 2030. Le singole filiere dei rifiuti di imballaggio in diversi casi hanno già superato gli obiettivi previsti per il 2025 e in alcuni anche quelli per il 2030. I tassi di riciclo delle singole filiere dei rifiuti d’imballaggio hanno raggiunto livelli di avanguardia: carta (81%, 3° posto in Europa), vetro (76% 3°), plastica (45%, 3°), legno (63%, 2°), alluminio (80%), acciaio (79%).

La raccolta degli oli minerali usati è vicina al 100%

In decisa crescita nei dieci anni anche la raccolta degli oli minerali usati, riporta Adnkronos, ormai vicina al 100% dell’olio raccoglibile. Nell’arco di un decennio la raccolta della frazione organica invece è passata da 3,3 milioni di tonnellate del 2008 a oltre 6,6 nel 2017 (+100%). Per quanto riguarda gli pneumatici fuori uso in 10 anni il recupero è passato dal 43% al 58%. Il nostro Paese sconta, invece, ancora un ritardo in termini di raccolta dei Raee (42% contro obiettivo del 65% del 2019) e delle pile (42%, ultimo posto in Europa) e per il reimpiego e riciclo dei veicoli fuori uso, passato solo dall’82% all’83%.

Una migliore prestazione nella lavorazione

La resa media delle attività di riciclo (il rapporto tra la quantità di materiali secondari prodotti e quella di rifiuti recuperati) oggi si attesta al 67%. E anche se i riciclatori trattano quantità più alte di rifiuti, a valle delle attività di riciclo resta una quantità di rifiuti pari a 2,6 milioni di tonnellate, equivalente a quella del 2014. Un dato che mostra una migliore prestazione nella lavorazione, favorita anche da una più elevata qualità della raccolta e della selezione dei rifiuti.