Nel secondo trimestre 2022 Pil a +4,7% tendenziale

Secondo i dati dell’Istat nel secondo trimestre del 2022 il prodotto interno lordo (Pil), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2015, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dell’1,1% rispetto al trimestre precedente, e del 4,7% nei confronti del secondo trimestre del 2021. Il secondo trimestre del 2022 ha avuto una giornata lavorativa in meno del trimestre precedente, e una giornata lavorativa in meno rispetto al secondo trimestre del 2021. La crescita congiunturale del Pil diffusa in stima preliminare il 29 luglio 2022 era risultata dell’1%, mentre quella tendenziale del 4,6%. E la variazione acquisita per il 2022 è pari a +3,5%

In ripresa tutti i principali aggregati della domanda interna

Rispetto al trimestre precedente, tutti i principali aggregati della domanda interna sono in ripresa, con un aumento dell’1,7% sia dei consumi finali nazionali sia degli investimenti fissi lordi. Le importazioni e le esportazioni sono aumentate, rispettivamente, del +3,3% e del +2,5%. La domanda nazionale al netto delle scorte ha fornito un contributo positivo di 1,6 punti percentuali alla crescita del Pil: +1,5 i consumi delle famiglie e delle Istituzioni Sociali Private ISP, +0,4 gli investimenti fissi lordi, mentre la spesa delle Amministrazioni Pubbliche ha dato un contributo negativo pari a -0,2%. La variazione delle scorte ha contribuito negativamente alla variazione del Pil per -0,3%, così come la domanda estera netta, il cui contributo è risultato pari a -0,2%.

Andamenti congiunturali positivi per il valore aggiunto di industria e servizi

Si registrano poi andamenti congiunturali positivi per il valore aggiunto di industria e servizi, pari rispettivamente all’1,4% e all’1%, mentre l’agricoltura registra una diminuzione del -1,1%. La stima completa dei conti economici trimestrali fa registrare nel secondo trimestre del 2022 una crescita del Pil dell’1,1% in termini congiunturali e del 4,7% in termini tendenziali. Si tratta di stime lievemente al rialzo rispetto alla stima preliminare dello scorso 29 luglio, quando il rilascio mostrava un aumento congiunturale dell’1% e tendenziale del 4,6%.

“In buona ripresa anche ore lavorate e unità di lavoro”

“Rispetto al trimestre precedente – commenta l’Istat -, tutti i principali aggregati della domanda interna sono risultati in ripresa, con tassi di crescita uguali per il totale degli investimenti e dei consumi finali nazionali (+1,7%), mentre la domanda estera netta ha contribuito negativamente alla crescita del Pil. Dal punto di vista settoriale – continua l’Istituto -, si conferma rispetto alla stima preliminare una crescita del valore aggiunto dell’industria e dei servizi e una contrazione del valore aggiunto dell’agricoltura. In buona ripresa anche ore lavorate e unità di lavoro, come anche i redditi pro capite e le posizioni lavorative”.

Cala la fiducia dei consumatori: indice ai minimi da maggio 2020

I consumatori vedono grigio: lo dice lista che, come di consueto, ha mirato l’indice di fiducia da parte do imprese e cittadini. Nel dettaglio, l’Istituto di Statistica stima una diminuzione sia dell’indice del clima di fiducia dei consumatori (da 98,3 a 94,8) ai minimi da maggio 2020, sia dell’indice composito del clima di fiducia delle imprese (da 113,4 a 110,8). Tutte le componenti dell’indice di fiducia dei consumatori sono in calo. In particolare, il clima economico e quello futuro registrano le diminuzioni più marcate scendendo, rispettivamente, da 93,9 a 84,9 e da 98,8 a 92,9; il clima personale e quello corrente flettono in misura più contenuta passando, il primo da 99,8 a 98,1 e il secondo da 97,9 a 96,1.

Anche le imprese non sono ottimiste

Per quanto riguarda le imprese, la fiducia è in peggioramento nella manifattura (l’indice scende da 109,5 a 106,7) e nei servizi di mercato (da 109,0 a 104,1) mentre migliora nelle costruzioni ( l’indice sale da 159,7 a 164,4) e nel commercio al dettaglio (da 107,2 a 108,1). Quanto alle componenti degli indici di fiducia, nella manifattura peggiorano le attese sul livello della produzione e, in misura più marcata, i giudizi sugli ordini; le scorte sono giudicate in diminuzione rispetto al mese scorso. Nel comparto delle costruzioni migliorano sia i giudizi sugli ordini sia, soprattutto, le attese sull’occupazione presso l’impresa. Con riferimento ai servizi di mercato, riporta Askanews, tutte le variabili che compongono l’indicatore si deteriorano rispetto allo scorso mese. Per chiudere, nel commercio al dettaglio la dinamica negativa dei giudizi sulle vendite si associa ad un marcato aumento delle aspettative sulle vendite future e ad un incremento delle scorte di magazzino.

Un peggioramento di tutte le variabili

“A luglio l’indice di fiducia delle imprese diminuisce riportandosi sul livello dello scorso maggio” si legge nel commento dell’Istat ai dati. “Il peggioramento è determinato dall’evoluzione negativa della fiducia nella manifattura e nei servizi di mercato. Anche l’indice di fiducia dei consumatori evidenzia una dinamica negativa, raggiungendo un minimo da maggio 2020. Si segnala un diffuso peggioramento di tutte le variabili che entrano nel calcolo dell’indice ad eccezione dei giudizi sull’opportunità di acquistare beni durevoli nella fase attuale”.

Tassi variabili: la rata dei mutui aumenta fino a 120 euro

Chi ha intenzione di acquistare un’abitazione nei prossimi mesi dovrà tenere conto di un aumento per le rate dei mutui a tasso variabile. Tra gli ‘osservati speciali’ della riunione di politica monetaria della BCE c’è stato infatti proprio l’annuncio sui tassi. L’aumento è previsto per i mesi di luglio e settembre 2022, e avrà un impatto sull’Euribor, l’indice di riferimento per i mutui a tasso variabile. Ma di quanto aumenteranno le rate dei mutui degli italiani? Facile.it, il portale di comparazione prezzi, ha compiuto alcune simulazioni, e ha scoperto che da qui al prossimo anno la rata mensile di un mutuo variabile medio potrebbe salire di circa 120 euro rispetto a oggi.

Entro la fine dell’anno l’indice Euribor a 3 mesi porterà i tassi al 2,20%

Per effettuare la sua analisi Facile.it ha preso come riferimento un finanziamento da 120.000 euro da restituire in 20 anni, e ha simulato i possibili cambiamenti tenendo in considerazione i cosiddetti futures sull’Euribor, che rappresentano l’aspettativa che gli operatori hanno sull’andamento dell’indice nei prossimi 5 anni. In pratica, oggi un tasso variabile medio (TAN) disponibile online per l’operazione simulata è pari a 0,85%, con una rata mensile pari a 544 euro. Secondo i futures sull’Euribor, entro la fine del 2022 l’indice Euribor a 3 mesi sfiorerà l’1% (oggi si trova a -0,30%) e questo farà salire il tasso variabile a circa il 2,20%.

Tra dodici mesi la rata del muto salirà a 663 euro

La rata mensile sarà quindi più pesante di circa 75 euro. Tra dodici mesi, ovvero a giugno 2023, l’indice potrebbe arrivare a circa 1,75%, e questo farebbe salire il tasso variabile a 2,95% e la rata del muto a 663 euro. Vale a dire, quasi 120 euro in più rispetto a oggi. A dicembre 2027, fra 5 anni, le previsioni danno l’Euribor intorno al 2,10%. Se così fosse il tasso salirebbe a 3,30%, e la rata mensile a 684 euro, ovvero 140 euro in più rispetto a oggi.

“Oggi più che mai la scelta del mutuo va affrontata con grande attenzione”

“Sebbene in periodi di grande incertezza come quello attuale sia difficile fare previsioni, è importante non sottovalutare i messaggi che arrivano dal mercato – spiega Ivano Cresto, Managing Director prodotti di finanziamento di Facile.it -. Oggi più che mai, quindi, la scelta del mutuo va affrontata con grande attenzione – prosegue Cresto -; il consiglio è di affidarsi a un consulente esperto in grado di identificare la soluzione più adatta alle esigenze dell’aspirante mutuatario”.

In Lombardia l’economia più attrattiva d’Italia

È la Lombardia la Regione più attrattiva d’Italia, e tra le principali in Europa. Se si considerano gli ultimi cinque anni (2018-2022) i progetti di investimenti in nella regione si attestano a 296 sui 705 nazionali, per un trend sempre in crescita, e un passaggio da 59 progetti nel 2018 a 86 nel 2021. Numeri importanti anche per i valori: nel 2020 si toccano 1,78 miliardi di euro a fronte dei 1,28 miliardi nel 2019. Un volano fondamentale per i potenziali nuovi posti di lavoro creati, 13.673, e i possibili investimenti generali, addirittura 5,785 miliardi di euro. È quanto emerso nel corso di un evento di Invest in Lombardy, progetto di Regione Lombardia, in collaborazione con Unioncamere Lombardia e Promos Italia.

In cinque anni 400 investitori stranieri

Di pari passo procede anche AttraCT, grazie alla quale sono stati coinvolti i comuni lombardi nella mappatura di opportunità insediative per iniziative di investimento industriale o immobiliare. Tra il 2018 e il 2022 sono state 400 le imprese interessate a sviluppare progetti imprenditoriali in Lombardia. Gli investitori provengono da USA, Francia, Germania, Regno Unito, ma anche Asia, in particolare, Cina, Giappone, Corea e India. Le 20 aziende assistite dal team regionale che hanno finalizzato l’apertura in Lombardia si stima che abbiano portato investimenti attesi per 128 milioni di euro, e un impatto occupazionale di oltre 860 unità.

“Rafforzare la politica industriale costruendo la propria autonomia strategica”

“Oggi è prioritario per l’economia lombarda rafforzare la politica industriale costruendo la propria autonomia strategica. Siamo già la principale destinazione di investimenti esteri e per mantenere questa leadership dobbiamo identificare e accompagnare le imprese che potranno portarci nuove risorse: non solo economiche ma anche di competenze e tecnologia”, dichiara il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio.
“I dati presentati sono assolutamente positivi. Ci confermiamo la prima regione d’Italia come attrattività di investimenti – ribadisce l’assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia – ma, soprattutto nell’ultimo anno, ci siamo migliorati”.

Generati oltre 13mila posti di lavoro

“E questo vuol dire che ciò che abbiamo fatto nell’ultimo anno, aggiornando i nostri strumenti, collaborando meglio con Camere di Commercio Estere, stakeholder, Ice e con i Comuni, ci ha consentito di migliorare ulteriormente – aggiunge l’assessore -. Abbiamo generato attraverso investimenti esteri oltre 13mila posti di lavoro negli ultimi cinque anni. Dobbiamo migliorare ancora. I cambiamenti dal punto di vista del mercato devono consentirci di cogliere alcune opportunità rispetto, ad esempio, al tema della rilocazione di imprese che si erano trasferite all’estero”.

Una nuova frattura economica divide il mercato

La difficile situazione e le restrizioni dovute alla pandemia hanno costretto i consumatori a rivalutare preferenze e abitudini di acquisto, che nel 2022 saranno maggiormente influenzate da un significativo divario economico. NielsenIQ ha identificato cinque gruppi di consumatori in base alla loro sicurezza finanziaria e le abitudini di acquisto previste per il 2022. Il 23% è in difficoltà (Struggler): durante il Covid-19 ha vissuto un’insicurezza finanziaria che continua ancora oggi, il 21% è in ripresa (Rebounder), il 38% è cauto (Cautious), e continua a porre attenzione alle spese, il 12% non ha subito impatti negativi (Unchanged), e continua a spendere normalmente, e il 6% è in ottime condizioni economiche (Thrivers): ha risparmiato denaro durante Covid e si sente finanziariamente più sicuro rispetto a prima dell’inizio della pandemia.

Priorità e preferenze sono cambiate profondamente

L’analisi dimostra che l’82% degli intervistati a livello globale (coloro che si identificano come Struggler, Rebounder e Cautious) è rappresentato da consumatori attenti ai costi, che stanno alterando i propri modelli di acquisto e consumo.
“Con l’aumento dei prezzi, i consumatori stanno rivalutando ciò che per loro è essenziale, scendendo spesso a compromessi – dichiara Nicole Corbett, Director, Global Thought Leadership di NielsenIQ -. I rivenditori e i brand non possono presumere che i prezzi e le strategie promozionali del passato siano rilevanti nel mondo di oggi. Priorità, esigenze e preferenze dei consumatori sono cambiate profondamente rispetto al 2019”.

Come rispondere alle esigenze degli shopper

Comprendere le sfumature nei comportamenti di consumo è fondamentale per rispondere alle esigenze degli shopper. Struggler e Rebounder sono attentissimi alla spesa, tendono a fare scorta di alcuni prodotti per evitare l’out of stock e a fare acquisti nei negozi fisici. Solo il 3% dei Cautious afferma di non aver cambiato i propri comportamenti di acquisto, rispetto al 21% degli Unchanged. Le strategie applicate dai vari gruppi per gestire la spesa sono diverse. È probabile che gli Struggler selezionino l’opzione più economica o smettano di acquistare completamente, mentre gli Unhanged potrebbero rimanere fedeli ai brand e acquistare i loro prodotti preferiti, indipendentemente dagli aumenti di prezzo. Ognuno di questi gruppi rappresenta un’opportunità di crescita, determinata dall’impatto della pandemia sulla loro sicurezza finanziaria, e dalle loro nuove esigenze.

L’impatto futuro dell’attuale divario economico

Il 30% degli intervistati globali afferma di avere priorità completamente diverse rispetto al 2019, i gruppi più impattati a livello economico (Struggler, Rebounder e Thriver) hanno cambiato radicalmente le abitudini di acquisto. Data la natura imprevedibile del futuro, le aziende dovrebbero pianificare oggi per rispondere alle esigenze di domani. Se la pandemia inizierà a evolversi in endemia e le economie inizieranno a riprendersi, gli Struggler potrebbero migliorare la propria situazione economica e avvicinarsi ai Rebounder. Allo stesso modo, i Cautious potrebbero iniziare ad allentare l’attenzione ai costi e avvicinarsi agli Unchanged. Tuttavia, in uno scenario in cui nuove varianti, eventi geopolitici o pressioni macroeconomiche metteranno in difficoltà la società, potrebbe verificarsi il contrario, e il divario economico crescerebbe ulteriormente.

Gli italiani dicono no alla Great Resignation

Gli italiani sono poco propensi a rassegnare le dimissioni ‘al buio’ per cercare un altro impiego. Il 56,2% degli occupati dicono no alla Great Resignation, e preferiscono non lasciare il proprio lavoro, convinti che non ne troverebbe uno migliore. Una percentuale che sale al 62,2% tra i 35-64enni e al 63,3% tra gli operai. Nei primi nove mesi del 2021 erano 1.362.000 le dimissioni volontarie registrate, +29,7% rispetto al 2020, ma proprio nel 2020, con il mercato del lavoro paralizzato a causa del Covid, si era verificato un picco negativo di dimissioni: solo 1.050.000 nei primi tre trimestri (-18,0% rispetto al 2019). Ma a quanto riporta il 5° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale si conferma un trend di più lungo periodo di crescita delle dimissioni, legato soprattutto all’aumento della precarietà dei rapporti di lavoro.

Fa più paura ritrovarsi impantanati nella precarietà

Tra i lavoratori italiani il pragmatismo vince sulla tentazione della Great Resignation, fa più paura l’idea di ritrovarsi impantanati nella precarietà. Eppure l’82,3% (86,0% giovani, 88,8% operai) si dice insoddisfatto della propria occupazione e pensa di meritare di più. Infatti il 58,1% ritiene di ricevere una retribuzione non adeguata, percezione confermata dalle statistiche ufficiali: negli ultimi vent’anni le retribuzioni medie lorde annue si sono ridotte del 3,6% in termini reali. Pensando alla propria occupazione, il 68,8% si sente poi meno sicuro rispetto a due anni fa (72,0% operai, 76,8% donne). E nell’ultimo biennio il 66,7% (71,8% tra i millennial) ha vissuto uno stress aggiuntivo per il lavoro, e il 73,8% teme che in futuro dovrà fronteggiare nuove emergenze lavorative.

Il lavoro è cambiato, e lo smart working non piace a tutti

Per il 51,3% degli occupati il proprio lavoro è cambiato molto durante la pandemia. Il digitale è stato determinante, ma non indolore. Complessivamente il 58,0% ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei dispositivi digitali, in particolare, nella partecipazione ai meeting online (55,3%) e con la posta elettronica (46,1%). Sullo smart working poi i lavoratori italiani si dividono: il 25,1% non vorrebbe farlo, il 32,9% vorrebbe proseguire, il 42,0% opterebbe per una soluzione ibrida. In ogni caso, il tempo di lavoro si è dilatato: il 39,7% degli occupati afferma di non disporre di sufficiente tempo libero (45,1% tra gli esecutivi), e il 23,0% prevede un ulteriore peggioramento nel futuro.

I lavoratori chiedono più retribuzione e welfare alle aziende

Le richieste alle aziende sono chiare: il 91,2% dei lavoratori vorrebbe retribuzioni più alte, l’86,5% più servizi di welfare aziendale, e il 75,2% un maggiore supporto nel rispondere ai bisogni sociali.
Intanto aumentano le imprese che puntano sugli strumenti del welfare aziendale. Per il 62,5% di un panel di responsabili delle risorse umane di grandi imprese il welfare aziendale è una priorità, e il 71,9% si dice pronto ad attivare servizi ad hoc per rispondere ai bisogni dei lavoratori. Piani di welfare ‘su misura’, fatti di servizi e supporti personalizzati, disegnati sui bisogni del singolo lavoratore, possono infatti dare un contributo decisivo alla domanda di riconoscimento dei lavoratori, stimolando un diverso rapporto con il lavoro e l’azienda.

Agricoltura lombarda, ecco le opportunità per le imprese del settore

Sostenere l’agricoltura in Lombardia è una priorità, perchè, come afferma Maria Chiara Zaganelli, direttore generale di Ismea “La Lombardia è la principale regione italiana per valore della produzione agricola, investimenti lordi e stock di crediti bancari del settore primario, nonché ai primissimi posti per fatturato all’export dell’agroalimentare. Mediamente le imprese agricole lombarde sono più grandi e capitalizzate e sono le principali beneficiarie della garanzia diretta di Ismea e degli strumenti di equity, previsti nel quadro di Ismea investe. E’ questo il senso delle iniziative messe in campo proprio da Ismea per dare nuova forza alle imprese agricole della Regione, attraverso varie misure che vanno Dai contributi a fondo perduto ai mutui a tasso agevolato per i giovani e le donne sino agli interventi di finanza strutturata per le società di capitali.

Il pacchetto di misure

In un recente incontro a Milano, è stato presentato il sistema integrato di misure e di strumenti che l’Istituto mette a disposizione per sostenere lo sviluppo del settore agricolo e agroalimentare italiano, accompagnando le imprese nelle diverse fasi della loro vita: dall’acquisizione del capitale fondiario allo sviluppo del business, dall’accesso al credito e al mercato dei capitali sino alla gestione del rischio. L’ultima legge di Bilancio affida a Ismea ulteriori 80 milioni di euro destinati a sostenere la competitività del settore in un momento di grande trasformazione verso le sfide della transizione ecologica e digitale previste dalla PAC e dal PNRR. Entrando nel merito delle opportunità, tramite la Banca nazionale delle Terre Agricole (BTA), che quest’anno aprirà, il prossimo 7 marzo, la fase delle manifestazioni di interesse del quinto lotto, Ismea rimette in circolo i terreni attraverso una procedura di vendita trasparente e aperta a tutti, offrendo opportunità di investimento e ricomposizione fondiaria. Con “Più Impresa”, l’Istituto sostiene gli investimenti dei giovani e delle donne in agricoltura, grazie all’erogazione di contributi a fondo perduto e mutui a tasso zero. Ismea gestisce inoltre il primo Fondo di Garanzia pubblico con garanzia diretta e a prima richiesta per l’agricoltura, a copertura di oltre due miliardi di euro di finanziamenti destinati al settore. Con i suoi strumenti di garanzia, Ismea facilita l’accesso al credito delle imprese agricole e della pesca, riducendo il costo dei finanziamenti. Con “Ismea Investe” le società di capitali attive nel settore agroalimentare possono beneficiare di finanziamenti agevolati e interventi nel capitale di rischio (operazioni di equity e quasi equity, prestiti obbligazionari e strumenti finanziari partecipativi).

Le maggiori criticità

“Sono molte le problematiche che le aziende agricole stanno affrontando in questo periodo: rincari energetici, costi delle materie prime, crisi internazionali. È fondamentale per le nostre imprese avere massima chiarezza sulle misure messe in campo per aiutare il comparto, sia in ambito creditizio che di sviluppo rurale. Ringrazio Ismea per aver scelto la Lombardia come prima tappa del tour sul territorio nazionale. I dati confermano ancora come la nostra sia la prima regione agricola d’Italia e a livello istituzionale abbiamo il dovere di accompagnare le aziende nella fase di transizione che è in atto” ha dichiarato Fabio Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia.

Anno nero per gli aeroporti italiani: passeggeri a -58%

La pandemia ha colpito con forza diversi settori della nostra economia, ma sicuramente il comparto dei viaggi è stato tra quelli più penalizzati. Gli aeroporti, ovviamente, non fanno eccezione e non sorprende che i dati del 2021 non siano positivi. Lo conferma una nota di Assoaeroporti, che rileva che gli aeroporti italiani chiudono il 2021 con 80,7 milioni di passeggeri e una contrazione del 58,2% sul 2019, ultimo anno non interessato dalla pandemia, quando il numero dei viaggiatori ha superato quota 193 milioni. Un consuntivo in crescita del 52,4% sul 2020, ma pur sempre segnato da una profonda crisi con 113 milioni di passeggeri persi rispetto al 2019.

I primi cinque mesi sono stati i più difficili

I cali più pesanti si sono concentrati nei primi cinque mesi, almeno fino a maggio: in questo periodo il traffico negli scali nazionali ha segnato una contrazione dell’86% rispetto al 2019, attestandosi a valori prossimi a quelli osservati nella primavera 2020, durante i mesi di lockdown generalizzato.  I primi deboli segnali di ripresa si sono registrati solo a giugno 2021, -65% sui livelli pre-Covid, per poi rafforzarsi nella seconda metà dell’anno, con -38% rispetto al secondo semestre 2019. Si riscontra però un parziale recupero del segmento nazionale che nel 2021 mostra un -35,1% sui volumi pre-pandemia. In sofferenza invece il traffico internazionale, che si attesta ad un -70,4%, evidenziando così una ripartenza del comparto a due velocità.

La fotografia della distribuzione del traffico

Questi fattori hanno inoltre modificato la distribuzione del traffico negli aeroporti italiani, con gli scali delle Isole che, beneficiando del turismo nazionale, registrano segnali di ripresa maggiormente evidenti rispetto alla media di sistema. Recuperano infatti più velocemente, soprattutto nella seconda parte dell’anno, i livelli del 2019. Stentano invece a ripartire gli aeroporti a forte vocazione internazionale e intercontinentale, a causa del mantenimento delle restrizioni per i viaggi Extra UE. I movimenti aerei registrano una contrazione meno marcata rispetto al traffico passeggeri: nel 2021 sono stati circa 950 mila, con un calo del 42,4% sul 2019 (+34,7% sul 2020) a conferma dell’utilizzo da parte dei vettori aerei di aeromobili di minore capienza. Incoraggianti i risultati per il traffico merci, con i volumi movimentati per via aerea che raggiungono i livelli del 2019, +0,2%, e l’intero segmento cargo, incluso l’avio camionato, che si attesta a 1 milione di tonnellate, pari al -1,9% rispetto ai livelli pre-Covid (+28,6% sul 2020), con quasi il 70% delle merci transitate per lo scalo di Malpensa.

Prestiti, le famiglie italiane sono tornate a chiederli

Il 2021 ha visto una crescita del 7,1% per le richieste di prestiti personali da parte delle famiglie italiane, e del 36,1% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi, che hanno registrato volumi decisamente superiori anche a quelli pre-crisi: la variazione rispetto al 2019 è infatti del +18,7%.
È quanto emerge dal Barometro del Credito alle Famiglie (fonte: Eurisc, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da Crif), che segnala una crescita complessiva del 24% nelle richieste di finanziamento rispetto al 2020, pesantemente condizionato dai lockdown e da un clima di fiducia poco favorevole.

Prestiti finalizzati e personali seguono dinamiche opposte

Per il secondo anno consecutivo l’importo medio dei finanziamenti richiesti, nell’aggregato di prestiti personali e finalizzati, segna una flessione e si attesta a 8.651 euro (contro i 9.124 euro del 2020 e i 9.512 euro del 2019). Crif fa notare che tuttavia occorre distinguere tra due dinamiche opposte. Per quanto riguarda i prestiti finalizzati, nel 2021 il valore medio richiesto è in calo a 6.249 euro (-6,8% rispetto al 2020), a conferma della tendenza a richiedere un finanziamento anche per acquisti di valore contenuto grazie a condizioni di offerta appetibili, mentre cresce a 12.909 euro quello relativo ai prestiti personali (+3,3%).

La distribuzione per fascia di importo

Relativamente alla distribuzione dei prestiti per fascia di importo, i dati confermano la preferenza degli italiani per valori inferiori ai 5.000 euro (53,5% del totale), seguiti dalle richieste comprese tra 10.001 e 20.000 euro (18,6%) e da quelle tra 5.001 e 10.000 euro (16,2%). Quanto alla tipologia di finanziamento, le richieste di prestiti finalizzati vedono concentrare il 66,2% delle interrogazioni nella fascia al di sotto dei 5.000 euro. Per i prestiti personali, invece, si rileva una distribuzione più uniforme tra le diverse classi di importo fino a 20.000 euro, con il 31% del totale che si concentra nella classe al di sotto dei 5.000 euro, il 25,7% in quella compresa tra 5.001 e 10.000 euro, e il 25,3% in quella tra 10.001 e 20.000 euro.

La richieste in relazione all’età del richiedente

Osservando la distribuzione delle richieste di prestiti (personali e finalizzati) in relazione all’età del richiedente, il Barometro Crif evidenzia come nel 2021 la fascia compresa tra i 45 e i 54 anni sia stata quella maggioritaria, con una quota pari al 25,2% del totale, seguita da quella tra i 35 e i 44 anni, con il 21,3%. Nel complesso, riferisce Agi, si conferma in crescita il peso dei giovani al di sotto dei 24 anni, che assorbono il 5,9% delle richieste totali contro il 5,6% dell’anno precedente, con un’accentuazione ancora maggiore nel caso dei prestiti finalizzati, per i quali l’incidenza arriva al 6,3% del totale.

Cybersecurity, nel 2021 in Italia sono stati violati 11 milioni di account

Brutte notizie per la cybersecurity. Solo nel 2021 sono stati 11,11 milioni gli italiani vittime di furto di dati e credenziali dai propri account internet.
Questo significa che circa un quinto dei navigatori con almeno una identità digitale si è visto sottrarre dai cybercriminali informazioni strettamente personali.
Si tratta di un numero enorme, per quanto in netto ribasso rispetto allo scorso anno, quando gli account violati risultavano il 38,6% in più.
In ogni caso, la sicurezza sul web non sembra essere una nostra prerogativa. Il dato infatti è preoccupante: l’Italia è al dodicesimo posto tra i paesi del mondo per numero di account violati. A rilevarlo è uno studio effettuato da Surfshark, azienda operante nel settore della sicurezza online con sede nei Paesi Bassi, che all’interno del suo database Alert ha raccolto informazioni pubbliche sui cosiddetti ‘data breach’, le fughe di dati.

Fuga di dati sensibili e informazioni in lieve peggioramento rispetto al 2020

In termini di casi di fuga di dati sensibili e informazioni protette o confidenziali l’analisi del database di Surfshark Alert riporta un lieve peggioramento rispetto al 2020. Infatti, nei primi 11 mesi dell’anno in corso a livello globale gli account violati hanno superato il numero di 950 milioni. Guardando a livello internazionale, sono 4,66 miliardi le persone al mondo che utilizzano quotidianamente internet, e il report di Surfshark evidenzia che i primi cinque paesi con il maggior numero di violazioni di dati rappresentano più della metà di tutte le perdite avvenute nel 2021.

Stati Uniti in testa, con 214,4 milioni di utenti violati, seguiti da Iran e India,

In testa a questa ‘classifica’ si posizionano gli Stati Uniti, con un totale di 214,4 milioni di utenti violati. L’Iran è al secondo posto, con 156,1 milioni, seguito da India, con 86,6 milioni, Russia, 27 milioni, e Francia, con 24,6 milioni di utenti violati. A precedere l’Italia nella classifica delle violazioni ci sono Brasile, Regno Unito, Iraq, Corea del Sud, Cina e Canada.

Un ingente danno reputazionale e finanziario

“La crescita degli utenti violati è allarmante, considerando il danno reputazionale e finanziario che ne deriva – commentano da Surfshark -. I criminali possono usare le informazioni in varie attività illegali, come email di phishing, false chiamate bancarie e persino furto di identità. Pertanto, tutti gli utenti dovrebbero informarsi bene sulla privacy online e prendere misure preventive per proteggersi”.